Vivendo in forte simbiosi con il contesto naturale nel quale erano quotidianamente immersi, i Nativi Americani avevano da tempo immemore stabilito nessi e analogie fra ciò che accade in natura e ciò che accade all’essere umano.

Secondo la loro visione, ogni stagione ritrovava il proprio “domicilio” in una delle quattro direzioni, o punti cardinali, a ciascuna delle quali associava uno dei quattro Elementi: alla primavera l’Est e l’Aria, all’estate il Sud e il Fuoco, all’autunno l’Ovest e l’Acqua, all’inverno il Nord e la Terra.

Est come energia del risveglio, della rinascita, della riapertura delle ali per spiccare il volo sostenuti dall’elemento Aria dopo la sedentarietà invernale.

Sud come spensieratezza, gioiosità e dinamismo ispirati dalla bella stagione, dalla forte intensità del calore del sole (Fuoco) e dalla sua luce prolungata nelle lunghe giornate estive.

Ovest come graduale ripiegamento interiore dopo l’espansione precedente, come raccolta dei frutti della Terra in previsione del lungo inverno e progressivo rallentamento delle attività imposto dalle frequenti piogge che reidratano con Acqua benefica il terreno in preparazione alla semina e alla ripresa primaverile.

Nord come tempo di ritiro nella tana, ritorno all’utero della Terra, riposo, bilancio, come fase di chiusura e compimento, riflessione e interiorità, in sintonia con i bioritmi più lenti dettati dalle ridotte ore di luce.

Questo popolo viveva in grande armonia con i cicli naturali e l’alternanza delle stagioni che scandivano i ritmi di vita e gli spostamenti delle tribù, ritrovandosi sempre al posto giusto nel momento giusto. Non c’era sfasamento, sradicamento, estraneità. Tutto nella loro vita fluiva con il fluire di Madre Natura.

Riconoscevano, onoravano e interiorizzavano ciascuno degli Elementi che le trasformazioni stagionali di volta in volta esaltavano.

Il loro scopo di vita era semplicemente assecondare con sempre maggiore flessibilità e saggezza questo “movimento” esteriore e interiore della loro Terra, per arrivare a essere “tutt’uno” con quell’universo naturale.

Conducevano un’esistenza semplice, essenziale, intessuta di spiritualità animista. Tutto ciò che costituiva il piano materiale, in Alto (Cielo) e in Basso (Terra), era per loro vivo e sacro, ivi inclusi i suoi Elementi.

Ne contemplavano quattro, come già accennato: Aria, Fuoco, Acqua e Terra (secondo la sequenza delle stagioni). Il quinto Elemento, l’Etere, non era formalmente teorizzato nella loro cosmogonia, per come veniva raccontata e raffigurata nella Ruota di Medicina.

I Nativi Americani avevano da tempo immemore stabilito nessi e analogie fra ciò che accade in natura e ciò che accade all’essere umano… Il loro scopo di vita era semplicemente assecondare con sempre maggiore flessibilità e saggezza questo “movimento” esteriore e interiore della loro Terra, per arrivare a essere “tutt’uno” con quell’universo naturale.

A dire il vero, tuttavia, lo si potrebbe plausibilmente assimilare al Centro della Ruota, simbolo dell’energia che tutto contiene, l’Essere Supremo, ovvero lo “Spirito” (o “Grande spirito”) che ogni tribù identificava con un proprio appellativo, secondo l’idioma indigeno.

Riflettendo su come strutturare questo mio contributo, ho finito per optare per la trattazione di un solo Elemento, quello che sarebbe stato energeticamente dominante nel periodo di uscita di questo numero della Rivista: l’elemento Terra (associato per l’appunto all’inverno nella visione nativa).

Quella Terra che nella stagione rigida riposa in superficie ma continua a fervere nel sottosuolo.

Quella Terra che si purifica, si sterilizza e si rende nuovamente fertile per essere pronta, al momento opportuno, ad accogliere i semi di un nuovo, futuro raccolto.

Quella Terra che è l’Elemento in assoluto più denso, solido, compatto, meglio rappresentativo del nutrimento di Madre Natura, che dà vita e sostenta ogni suo essere.

Quella Terra che, in quanto materna, possiede un’energia femminile uterina, amorevole e accogliente.

Al di sotto della sua fredda superficie, si celano un calore che non viene mai meno e una ricchezza che mai si esaurisce, dall’acqua alle sostanze minerali all’humus…

Qualsiasi seme piantato in una buona Terra darà buoni frutti.

Nella stagione fredda, sarebbe auspicabile che anche noi predisponessimo metaforicamente il nostro “terreno” interiore ad accogliere i nuovi semi che potremmo desiderare di “piantare” nel tempo primaverile del risveglio.

Nel parlare in termini più metafisici di “terra” e di “terreno”, non si può non evidenziare come, nell’odierna visione materialistica occidentale, pur intrisa di religiosità, il concetto di Terra si riduca invece a due semplici concetti: terreno arabile e coltivabile, finalizzato ad accogliere colture o edifici, e luogo di sotterramento e di inumazione.

Nel primo caso, elemento funzionale alla coltivazione e alla costruzione; nel secondo, ricettacolo di ciò che è stato usato e non serve più, di ciò che è perito e non può essere né recuperato né rivitalizzato.

In una visione ideale, quanto sarebbe straordinario tornare a riconoscere e a nobilitare il senso di questo Elemento così fondamentale per il nostro esistere umano in termini non solamente materiali ma anche spirituali…

Nella cultura nativa, la Terra è viva, vitale.

Non solo genera spontaneamente, ma accoglie e trasforma ciò che in natura vi si adagia, dalle foglie alle carcasse, convertendo il materiale organico in principi nutritivi per semi e piante, che sostenta anche nella stagione rigida fornendo alle radici i sali minerali di cui necessitano per sopravvivere all’inverno e riprendere vigore in primavera…

Il ritorno alla Terra, inteso come elemento fisico ed energetico, non può essere visto unicamente come l’ineluttabile destinazione finale di un’esistenza che si conclude.

Ogni giorno, in ogni momento, possiamo tornare a una visione sciamanica dell’elemento Terra come di quell’energia che induce alla pacificazione, alla stasi, alla sospensione, all’introspezione, all’attesa paziente e consapevole…

E non solo, perché la Terra, per i nativi, era anche uno spazio sacro dal quale attingere energia spirituale e forza vitale, in quanto “palcoscenico in cui si incontrano il mondo degli spiriti elementali e il mondo umano”.

La Terra ci parla, comunica con noi quando drizziamo le antenne e spalanchiamo i sensi per captarne il linguaggio, quando ci concediamo di soffermarci per aprire un contatto che non sia unicamente la pressione delle nostre suole sul terreno, ma quella di una mano, di un piede scalzo, della nostra pelle, della fronte o della nuca se vi siamo sdraiati sopra.

La Terra, intesa come “pianeta” (sebbene nella cultura delle praterie fosse un concetto ancora sconosciuto), era per i nativi un organismo vivente, pulsante con la stessa intensità con la quale pulsano il corpo animale e umano, nonché, come precedentemente accennato, una madre generosa dalla cui abbondanza ogni creatura traeva nutrimento e sostegno.

Il loro era un rapporto armonioso, se non addirittura “amoroso” – come alcuni l’hanno definito – con la natura.

E quando il ciclo di vita di uno dei suoi figli giungeva al termine, il suo involucro tornava a casa, nel grembo della Terra, lo stesso da cui era stato generato, e lì tornava a essere parte del Tutto.

Scriveva un nativo:

Per noi i boschi, le colline lontane, la luce del Nord, il tramonto del sole sono vivi, insieme a loro viviamo e, come nessun uomo bianco è capace di fare, viviamo nel loro Spirito. Se siamo soli parliamo con l’acqua e con gli alberi e così soli non siamo. Nonostante le loro moderne invenzioni, i bianchi non riescono a vivere come noi e, se ci provano, muoiono, poiché non capiscono cosa dice il sole quando tramonta e non sentono le voci della saggezza antica nel vento. L’uomo bianco a volte è come un cucciolo e muore quando il vento gli soffia contro, poiché egli vede solamente alberi, rocce, terra e acqua, solo la parte esterna del libro: ma non sa leggerlo…”.

Tempo fa, durante un incontro sull’energia dell’Equinozio primaverile, una ragazza aveva condiviso con me questa sua riflessione: un amico le aveva confidato che ogni volta che sentiva il desiderio di conforto e saggezza si recava di fronte a un albero, sempre il medesimo, divenuto ormai il suo riferimento. Lei s’interrogava: “Perché trovare all’esterno ciò che in realtà dovremmo poter trovare anche all’interno? Per quale ragione non dovremmo possedere dentro di noi la stessa fonte di conforto, consolazione e saggezza che più facilmente invece attribuiamo a elementi o a persone esterne a noi?”.

Niente di più vero. Entrare in contatto con l’energia di un Elemento non comporta necessariamente immergersi fisicamente in quell’Elemento. Lo si può richiamare alla mente in uno stato di concentrazione o meditazione evocandone caratteristiche e qualità.

… spesso cerchiamo al di fuori ciò che pensiamo di non possedere dentro. Gli Elementi sono con noi in ogni istante della nostra vita, sono una parte intrinseca di noi, compongono la nostra stessa energia, ne siamo inconsapevolmente attorniati e compenetrati.

L’Elemento Terra possiede quella componente di energia “materna” che opera piccole guarigioni ispirando sensazioni di calore e conforto di cui tutti noi esseri viventi necessitiamo per rimanere in vita, per germogliare, fiorire, maturare, percepire benessere.

Ripristinare una connessione mentale con l’energia della Terra, con il suo Spirito e i suoi elementi può contribuire a riappacificarci con noi stessi e con il mondo, a recuperare un senso di appartenenza che noi occidentali urbanizzati abbiamo perduto nel momento in cui abbiamo tagliato il cordone con il mondo della Natura, a ritrovare un ritmo, un tempo interiore sintonizzato su quello del Pianeta, del suo battito primordiale, a rintanarci nel suo spazio sacro ovattato e silenzioso, solo all’apparenza immobile, a immaginare di riaffondare le nostre radici martoriate o recise in quell’humus soffice e accogliente che le riceve e le asseconda donando sensazioni di rinnovato equilibrio e stabilità.

Come ribadiva quella ragazza, spesso cerchiamo al di fuori ciò che pensiamo di non possedere dentro. Gli Elementi sono con noi in ogni istante della nostra vita, sono una parte intrinseca di noi, compongono la nostra stessa energia, ne siamo inconsapevolmente attorniati e compenetrati.

Per cominciare, per rafforzare la convinzione di poter rievocare ogni Elemento nello spazio chiuso delle nostre dimore, troviamo un albero, un angolo di un prato, un contesto naturale da cui incominciare il nostro viaggio di ritorno alla Terra. E di ritorno a noi stessi.

Abituandoci a vibrare nuovamente all’unisono con Madre Natura, potranno riaffiorare memorie e intuizioni che ci consentiranno gradualmente di riaprire l’accesso al nostro spazio sacro interiore, laddove è custodita la nostra vera Saggezza.