L’attenzione naturale alla vita – Liberare le immagini anziché catturarle

PERCEPIRSI E RICONOSCERSI COME ENERGIA

Da bambina ho convissuto con un segreto velo di tristezza, lo sentivo nel profondo dell’anima, che si era accorta tramite la coscienza, dell’esistenza dell’energia, e mi creava disagio, timore, tormento ma allo stesso tempo curiosità e meraviglia. Ricordo che la notte facevo fatica a dormire perché nel buio percepivo tutte queste frequenze, forse perché c’era lo spazio del silenzio e potevo concentrami. Ho iniziato a percepire questo spazio essenziale per vedere. Devo dire che tutt’oggi la sera e la notte io sono nella mia massima concentrazione. Forse la prima volta che ho percepito la bellezza e la felicità è stato quando ho sentito che l’energia come un respiro di luce fluiva, filtrava, respirava e si faceva spazio ovunque con un fascio di vibrazioni potenti nelle cose animate e inanimate, oltre i principi umani del giusto e dello sbagliato. Percepivo la materia e la fisicità, invece, solo come un mezzo, un tramite finale e manifesto di qualcosa che si adoperava della luce e per la luce, ma che era già stato creato nell’invisibile attraverso un pensiero elettrico.

Da bambina non avevo queste nozioni, il mio era solo un sentire che spesso mi faceva paura, ma sentivo fortemente il dovere di comunicare, dialogare con questa energia per conoscerla e utilizzarla, ovviamente senza sapere il perché. Ma c’era un problema: questa energia era invisibile, fuori dal paradigma spazio-temporale e non sapendo come fare mi intristivo, spesso mi innervosivo, piangevo. La tristezza che provavo era anche causata dal fatto che i bambini della mia stessa età erano felici, ridevano e si meravigliavano per cose che a me non comunicavano nulla. Erano cose prettamente materiali, superficiali, mediocri, impersonali. Vorrei dire banali. Era come se il loro apparato sensoriale fosse limitato, inadeguato per permettere loro di percepire la realtà al livello in cui la percepivo io, che non era un livello superiore al loro, ma era diverso.

E questo lo riscontravo anche negli adulti. In alcuni adulti. Io non mi percepivo come una bambina, ma mi percepivo come canale energetico, un flusso di coscienza che andava oltre il limite dell’estetica e dei tratti somatici, motivo per il quale non ho mai fatto parte di nessuno schieramento ideologico o aggregazione e non ho mai avuto il senso dell’appartenenza.

Io non mi percepivo come una bambina, ma mi percepivo come canale energetico, un flusso di coscienza che andava oltre il limite dell’estetica e dei tratti somatici…

Di conseguenza non discriminavo nessuno, ma ero io che mi isolavo da sola perché non riuscivo a comunicare, non avendo nulla da dire con il loro linguaggio. Mi ricordo che in quel periodo la danza e l’espressione corporea mi aiutarono molto grazie ad un insegnante veramente brava che utilizzava il Metodo Feldenkrais®. Non ho mai avuto nemmeno il senso di appartenenza alla mia nazionalità. Facevo fatica a fare giochi di squadra, a tifare per qualcosa o qualcuno, a prendere le parti, e se prendevo delle parti erano quelle dei deboli perché io non distinguevo tra persone, animali, piante…per me era tutto era degno di essere salvato. Gli adulti invece, mi trasmettevano un’energia stanca, stressata, di frustrazione, bassa, quasi arresa, di auto sabotaggio. Notavo in loro l’impotenza di dimorare nel presente e nella bellezza se non in una maniera artificiosa, effimera. Li percepivo come scimmie che saltavano dal passato al futuro dimenticandosi che ci fosse un tempo presente di verità. Io stessa mi chiedevo perché mia mamma non si fermava mai e lavorava sempre, ma osservandola non ero dispiaciuta per lo spazio che lei non poteva offrire sempre a me, ma ero dispiaciuta per lo spazio che lei non offriva a se stessa, o se lo faceva, era fugace. Questo mi metteva malinconia. Questo lo riscontravo nella maggior parte degli adulti. Notavo e ammiravo negli artisti invece o nei bambini piccoli, quell’immersione nelle loro visioni e creazioni, e lo notavo anche negli animali. Chiesi ai miei genitori di poter avere un gatto ma non avendo lo spazio adeguato in casa mi dissero che non potevano prendermelo. Sono tutt’oggi cosciente che quel gatto non era un capriccio, ma lo volevo per capire se davvero gli animali vivevano in un’altra frequenza poiché ogni volta che guardavo i gatti per strada o quelli di altri, andavo in risonanza con la loro, e percepivo benessere. Amavo stare spesso nell’atelier di una pittrice che aveva diversi gatti che la guardavano dipingere. Le frequenze erano molto alte, e in quel momento mi immaginavo io così da grande: un’artista sola con i miei gatti e felice. E tutta quella gente che correva fuori da quello studio, da quell’atelier o dentro la mia testa di colpo spariva. Tanti anni dopo ebbi un gatto e stando a contatto con la sua energia capivo che viveva nel pianeta insieme a me ma le sue frequenze sembravano provenire da un altro, e imparai molto perché
allo stesso tempo eravamo collegati dal senso della vita senza un perché, eravamo fratelli, io non ero la sua padrona e nemmeno la sua mamma. Non c’erano ruoli.

Da quel momento ebbi una folgorazione, un’illuminazione o probabilmente un’iniziazione, mi sentii avvolta, sentii che la coscienza mi si era come spostata, come se qualcuno mi avesse preso le spalle e girato in un’altra direzione e iniziai ad avvertire un forte senso di pace e benessere scisso da quello che mi accadeva nella realtà, nel quale appresi che non potevo vivere dove vivevano quel tipo di persone che andavano di corsa per adempiere a ruoli, molti costruiti o obbligati, e che dovevano creare qualcosa di nuovo, io dovevo crearlo, o crearlo per loro in comunione e in sinergia con questa energia che percepivo ovunque, anche sotto i miei piedi. Ero anche cosciente che non era un sentire egoico o del mio io, ma era un sentire universale, cosmico, difatti da piccola quando non capivo da dove provenisse, pensavo che dentro me ci fosse qualcun altro che mi guidasse, o un angelo. Poi ho realizzato che ero proprio io e che stavo maturando una nuova versione di me, quella reale.

VERSO SE STESSI

Avrei voluto spostare tutti gli esseri umani in una direzione di luce, in una dimora di pace e li avrei sospesi in un tempo nel quale potevano dedicare finalmente a se stessi, ai propri talenti, alle proprie ambizioni, anziché in un tempo soffocato, dedicato alla Matrix, al lavoro, al mantenimento economico, mentale, ed energetico di una famiglia, a far quadrare le cose, i conti, con il compromesso e la fatica. No, io non ho mai creduto che tutto fosse sacrificio, io non ho mai creduto a chi mi diceva che la vita fosse e dovesse essere per forza sacrificio, anzi, credevo fermamente nell’esistenza e nell’assenza di sforzo, si! Nell’assenza di sforzo! Esisteva lo sforzo, ma per me esistenza l’assenza dello sforzo e nella condotta, perché per me era la presa di coscienza dell’energia affinché tutto potesse accadere. Probabilmente credevo nella “magia” dato che ero piccola, e nello spirito intelligente da grande. Del resto si sa che chi non crede nella magia è destinato a non incontrarla mai. E spesso pensavo: “Guarda di che cosa si privano!”. Forse è stato addirittura questo il motivo che mi ha spinto a scegliere di non costruire una mia famiglia e di non avere figli. Volevo dedicarmi energicamente alla vita. Avere sempre un piede disponibile ad esplorare, dimorare o sprofondare nella condizione di ricerca del sacro, nello spirito delle cose e nel loro soffio, ma soprattutto nel vuoto-silenzio per poterlo percepire in ogni cosa. Il mio punto di riferimento non erano solo gli esseri umani. Io volevo sentirmi libera di non tornare, di trascendere. Libera di fare esperienza della solitudine, degli spazi emotivi, dell’impermanenza, dei fenomeni temporanei, di celebrare la bellezza e il dolore, qualvolta volevo e senza che niente e nessuno mi fermasse o mi facesse da scudo, da intralcio. Mentre le mie coetanee si chiedevano se erano all’altezza di essere madri, io mi chiedevo se ero all’altezza di questa libertà che mi stavo donando. Era un’intuizione istantanea di liberazione ed io mi offrii ad essa senza desiderio di capire. Sapevo di non sapere. Per la prima volta sperimentai l’abbandono delle credenze del livello del subconscio, genetico, storico, culturale, dell’anima, ed ebbi una sensazione di benedizione. Mi chiedevo: “Come sarebbe bello che tutti potessero provare questa sensazione! Che tutti potessero vivere senza condizioni, arrendendosi al proprio io, valutando la responsabilità prima verso se stessi al di fuori degli schemi!”. Mi chiedevo come le persone potessero essere responsabili verso gli altri, genitori, educatori, o insegnanti, se non erano stati prima responsabili con loro stessi. Per me essere responsabili significava in primo luogo adempiere a se stessi prima che agli altri e non sto parlando di ruoli, sto parlando di esperire la vita, confluire alla missione per la quale si è nati, ai propri talenti, un po’ come fece Margherita Hack o Guglielmo Marconi, senza dedicare tutta la propria esistenza a qualcun altro, farsi delle proprie ragioni, lottare per i propri ideali…perché è chiaro che se si dedica tanto tempo agli altri, si ha poco tempo per se stessi e per un’evoluzione personale. Certo, si può provare a dedicarsi agli altri, ma dopo.

Mi chiedevo come le persone potessero essere responsabili verso gli altri, genitori, educatori, o insegnanti, se non erano stati prima responsabili con loro stessi.

Questo me lo disse anche mia nonna prima di lasciare il corpo fisico. Mi disse che per se stessa non aveva fatto nulla.

Per me il tempo non è mai stato quello dell’orologio, ma ha sempre rappresentato una dimensione della coscienza, però vedevo che in pochi dedicavano questo spazio a loro stessi. Erano più presenti nello spazio degli altri. Il più delle volte li percepivo soffocati, alienati, frustrati.

Mi sentivo di dover fare qualcosa per l’umanità che non si meritava di vivere in questo modo, per me era straziante, e scelsi di iniziare da me. Del resto non avrei mai potuto improvvisarmi in questo senza prima averlo esperito e averne acquisito la consapevolezza.

Iniziai a sperimentare il sentimento della liberazione attraverso l’accesso al qui e ora, non in termini meditativi, ma pratici, addirittura documentati, testimonianti e testimoniati, e questo per me aveva un valore immenso perché nulla può essere visto, disidentificato, modificato o riprogrammato senza essere prima riconosciuto. Infatti pensai che molti vivevano in questo modo semplicemente perché non si vedevano. Pensavo di dover portare in superficie uno strumento pratico, poiché chiudere semplicemente gli occhi e assumere un’asana per stare nello stato di presenza, per me non bastava. Ci voleva un testimone, un ponte di riconoscimento. Io questa consapevolezza la volevo mettere tra le mani come un prolungamento di esse, come se fosse un tamburo sciamanico.

L’ATTENZIONE COSCIENTE, UN NUOVO MODO DI VEDERE

La componente universale alla base del sistema cognitivo biologico che mi faceva da leva era l’attenzione. L’attenzione influisce sul modo in cui noi percepiamo gli stimoli in entrata e quindi doveva essere cosciente. È proprio l’attenzione che sostiene la percezione ed il riconoscimento, ha capacità di selezionare le fonti di stimolazione esterne, in presenza di informazioni in competizione, per dedicarsi all’informazione rilevante per il nostro scopo e tralasciare quelle irrilevanti, che non servono. Mi dedicai all’attenzione selettiva visiva, spaziale e divisa del sentimento, del respiro delle cose e delle persone, alla percezione e ricezione visiva attiva cosciente e animica anziché utilizzare quella passiva, e mi allenai a direzionare il sentimento che io e che le cose provavamo insieme, nella ragione, per trasformarlo in un’immagine nuova. Una riprogrammazione di quella vecchia.

La componente universale alla base del sistema cognitivo biologico che mi faceva da leva era l’attenzione. L’attenzione influisce sul modo in cui noi percepiamo gli stimoli in entrata e quindi doveva essere cosciente.

Mi dedicai allo spazio, locale, direzionale proprio-corporeo, ed extradimensionale. Questo per me era fondamentale perché nello spazio vuoto non solo c’è il respiro, ma c’è un valore emozionale non misurabile che viene trascurato. Per sentirlo, lo spazio va lasciato vuoto. Difatti si la ha tendenza ad arredare una casa riempiendola, o a dare a un bambino qualsiasi cosa….ma non è così, certi spazi vanno lasciati vuoti. Le emozioni ci penetrano a livello cognitivo e quindi non sono solo un’osservazione puramente ottica. Lo spazio se lasciato respirare è anche climatico, sonoro, olfattivo, del silenzio, lo spazio trasporta e ci trasporta. Sento che arriva la pioggia perché se mi metto in connessione con lo spazio ne sento l’odore e sento che lo spazio attraverso la legge del magnetismo modifica la sua elettricità.

LA MACCHINA FOTOGRAFICA RIGUARDA LA COSCIENZA UMANA E LA RELAZIONE

Il mezzo fedele che mi accompagnò a svolgere questa missione, intuizione e canalizzazione me lo ritrovai direttamente in mano perché quando avevo undici anni, senza che io lo cercassi, mio padre ne possedeva diverse. Era la macchina fotografica, quella analogica. La prima volta che infilai il mio occhio dentro al mirino mi si aprirono le porte come se avessi aperto un sipario, eppure era solo un rettangolo. Forse questa è stata la mia prima volta che ho preso coscienza della veridicità della parola “relazione”. La macchina fotografica benché fosse un oggetto, mi metteva in relazione in maniera molto più elevata che con una persona, e quindi diventò il mio interlocutore, il mio complice del presente. Lo schiacciare quel bottone, quel pulsante di scatto era come schiacciare il grilletto per uno sparo perfetto e dritto nel silenzio. Un gesto non fine a se stesso, ma che risuonava dentro di me, nello spazio, nella luce, e successivamente nell’osservatore con un’emozione. Era come entrare nel DNA delle persone e degli animali, nelle particelle della luce, nella linfa delle piante, nei circuiti elettrici dove tutto è interconnesso, e non sentivo più quella tristezza che per tanto tempo mi aveva accompagnato da bambina. Finalmente avevo un mezzo che poteva essere messo al servizio dell’umanità. Un’umanità che ha paura di svanire, di sparire, paura di vivere, ma che grazie ad una fotografia, intesa come una nuova immagine in 4d anziché in 2d, può vedere esattamente che cosa accade nell’essere evanescenti, impermanenti, precari, fragili, e può acquisire la capacità di lettura di trovare in queste emozioni la bellezza e il potere del cambiamento, della trasformazione, della sofferenza e del dolore; poiché una foglia secca non è morta, si è solo trasformata, ed è meravigliosa. Certo, la macchina fotografica era già stata messa al servizio dell’umanità nel 1839, ma a me non interessava che svolgesse il limitato compito di fotografare quello che lo specchio reflex aveva davanti incanalandolo nell’obiettivo ribaltato dal pentaprisma e visualizzato nel mirino. Andava in qualche modo modificata l’intenzione di “fare una fotografia”, difatti una fotografia non si fa, si crea, e questo non aveva nulla a che fare  con le basi della tecnica inconfutabile, perché riguardava la coscienza umana.

Andava in qualche modo modificata l’intenzione di “fare una fotografia”, difatti una fotografia non si fa, si crea, e questo non aveva nulla a che fare con le basi della tecnica inconfutabile, perché riguardava la coscienza umana.

CHIEDERE AL FIORE COME VUOLE ESSERE LIBERATO

Un conto è percepire i colori come gradazioni di tonalità o addirittura come superfici cromatiche, un conto invece è percepirli come temperatura, onda, frequenza, vibrazione, energia. Un conto è fotografare un fiore, un conto è fotografare l’energia del fiore, il sentimento del fiore, la sua frequenza.

Il nostro apparato sensoriale benché limitato può essere spostato, poiché il tutto (e quindi tutto ciò che noi vediamo e percepiamo) dipende dalla qualità del nostro livello di coscienza.

Del resto basterebbe stabilire un legame con il fiore e chiedere a lui come vuole essere fotografato. Non puoi relazionarti alla tua frequenza, ma per fotografarlo devi relazionarti alla sua. Idem se parli con un bambino, devi relazionarti alla sua. Hai mai provato a chiedere ad una stella cadente cosa puoi fare per lei anziché adoperarla per fini egoici personali nell’esprimere un tuo desiderio attraverso un suo dovere? Bene, il concetto per me era, è lo stesso: stabilire una relazione medianica, invisibile con lo spirito e l’anima di qualsiasi cosa e non fotografarlo secondo il proprio sentimento e quindi esclusivamente la forma, ma secondo il sentimento che un albero, una roccia, un cielo, una persona ci suggerisce. Non è una questione di fare domande, è una questione di interagire con il campo morfico e canalizzarlo. È l’energia che fa accadere le cose e gli eventi, ma l’energia delle cose non è scissa dalla tua, infatti non esiste la fortuna o la sfortuna, dipende dal tuo livello di connessione che hai con l’energia. Il nostro apparato sensoriale benché limitato può essere spostato, poiché il tutto (e quindi tutto ciò che noi vediamo e percepiamo) dipende dalla qualità del nostro livello di coscienza. Se non lo modifichiamo, non possiamo di certo ampliare o cambiare lo stato della nostra visione, ma vedremo sempre nello stesso identico modo secondo un nostro storico e aggiungerei faremo sempre le stesse fotografie, produrremo sempre le stesse immagini dentro e fuori di noi, avremo sempre le solite proiezioni, i soliti blocchi, le solite aspettative, i soliti pensieri, i soliti risultati.

SPOSTARSI NEL FLUSSO DI COSCIENZA E PRODURRE DA LI’

Dopo trent’anni di pratica con lo strumento della macchina fotografica analogica, stampe in camera oscura, e fotocamere digitali dal 1995, canalizzai nel 2017 la PRANOFOTOGRAFIA dopo un periodo di sette anni vissuto a Berlino, nel quale ebbi cognizioni e informazioni energetiche nuove date dalla morfologia degli spazi come per esempio la latitudine e longitudine, le distanze, il clima…etc. Aggiunsi alla parola FOTOGRAFIA (Phos “luce” + Graphis “scrivere”, scrivere con la luce dal greco), il prefisso PRANO: Prāṇa, “Soffio vitale”, “vita”, “respiro”, “anima”, “spirito”, energia dal sanscrito. Era quel respiro, era quello spazio di cui io volevo parlare, era da quello spazio- silenzio per completare quindi la parola fotografia e precisarne il significato ed il principio simbolico-energetico-medianico-empirico nel quale la macchina fotografica non va più a catturare le immagini ma le va a liberare spostando “il fotografo” nel flusso di coscienza di un’altra frequenza, scientificamente denominata frequenza cerebrale Theta (che mi cimentai ad approfondire di conseguenza), per trascendere la materia, fluire nella coscienza dei corpi visibili e invisibili, essere vigile, lucida dentro la coordinazione anima-tecnica, emozione-ragione emisfero cerebrale destro-sinistro, onda cerebrale beta-theta. Essere in poche parole nel qui e ora producendo da lì, da quel luogo, e quindi essere veloce e svelta con la calibrazione della triade (iso tempo diaframma) in base al grado di consapevolezza della scena energetica canalizzata chiamata comunemente in fotografia “composizione”, che io definisco e preferisco chiamare in pranofotografia: “ordine”, ovvero “fare ordine”, che sia essa una composizione artistica creata appositamente tramite una visione o una scena già presente. L’ordine in fotografia si organizza con l’inquadratura, l’angolazione, la messa a fuoco manuale, l’isolazione del soggetto con i piani focali per merito del diaframma o con i colori complementari ma soprattutto con l’intenzione di cosa esattamente si vuole comunicare. Non si fotografa per caso.

… la macchina fotografica non va più a catturare le immagini ma le va a liberare spostando “il fotografo” nel flusso di coscienza di un’altra frequenza, scientificamente denominata frequenza cerebrale Theta …

LE IMMAGINI VISIBILI E INVISIBILI, IL LINGUAGGIO DELLA LUCE

Per canalizzare questa tecnica energetica che opera nel conscio e nel subconscio mi affidai fin da subito alla vera fonte, alla natura, e utilizzai il suo stesso linguaggio, che per me era semplice, primordiale, nativo: l’energia che scorre nelle immagini, quella che le rivela, che le compone davanti ai nostri occhi, a partire dal nostro corpo, che non è diviso da tutto il resto. E quindi mi affidai all’invisibile. A quella sensazione che da bambina mi metteva timore e meraviglia, la stessa che non mi faceva dormire la notte, la utilizzai per creare e liberare i corpi, le paure. In tutto questo lasso di tempo il mio viaggio evolutivo era stato dall’inconscio al conscio e tutto era connesso, perfetto, tutto era onde, forme, colori, pieni e vuoti che mi permisero di vedere me stessa da fuori, e per questo decisi di dedicare parte della mia vita all’autoscatto con il telecomando come terapia di ascolto, basato sulla percezione di me al di fuori del mio corpo, poiché quando mi fotografavo, non mi vedevo con gli occhi, ma mi vedevo attraverso una visione più ampia: quella della percezione, flusso energetico, vibrazione, canale, frequenza. Il soggetto non sono mai stata io ma era la relazione autentica con lo spazio e con l’anima del mondo. Questo mio sentire riassunto e sintetizzato in un’immagine mi portava in uno stato di estasi e di espansione che tutt’oggi svolgo, divulgo, sviluppo. Molte persone quando vedono i miei scatti dicono: “Mi sento così”…e per me questo è già un traguardo, perché si sono riconosciuti, pacificati e liberati tramite un’immagine che parlava di loro. Non ebbi più paura di entrare per sempre dentro questa frequenza, verità che il mio corpo mi suggeriva fin da bambina. Un corpo che sentendosi canale di luce necessitava di essere finalmente “visto”, riconosciuto a me stessa dal di fuori nella sua tonalità, totalità, prima del giudizio, priva del giudizio. Non mi serviva più uno specchio per sapere che esistevo, perché sentivo di esistere, e la concentrazione su questo sentire era tutto ciò che mi serviva. Stavo vivendo il “Ricordo di me”. Da quel momento ho pensato che anche altri tramite me potevano vivere il loro “Sé”, se lo desideravano, bastava guidarli, introdurli. E così feci.

Sapevo che lì dentro potevo parlare con il corpo inteso come corpo vissuto anziché come corpo rappresentato, difatti i miei autoscatti non sono frutto di rappresentazione, ma sono stanze interiori liberate, momenti reali di forte dolore come l’opera “Human Alienation”, di forte volontà, come l’opera “Ecologia Profonda” o di forte preghiera per l’umanità come l’opera “Anamorfosi”.

LIBERARE L’OCCHIO FISICO E TRASFORMARLO IN OCCHIO POETICO

L’organo che mi permise di entrare dentro questa frequenza fu un organo fondamentale, una vera e propria estensione del cervello, in grado di percepire l’energia luminosa trasportando le informazioni catturate ed elaborate sotto forma di immagini: l’occhio. Da piccola trascorrevo molto tempo a vedere, guardare, letteralmente fissare cose e persone, ma ciò che stavo facendo era semplicemente captare, scansionare la loro energia oltre che la loro espressività.

Appresi guardando, che il corpo di un essere umano non era differente da una pietra, da una stella, o da un albero benché vivevano su piani di esistenza diversi. Tutto infatti, il cosiddetto Olos, era come se fosse fatto di una stessa sostanza con una manifestazione che però era differente. Tutto era incredibilmente collegato, compenetrato, interconnesso, come se la coscienza fosse nel campo morfico e che era questa coscienza che mi trasmetteva input, immagini e pensieri. Grazie a questa relazione che avevo stabilito entrai in contatto con l’invisibile e di colpo iniziai a dialogarci. Fino ad oggi. Non solo tutto era fatto di energia, ma ogni cosa aveva un’essenza, uno spirito, e iniziai a valutare tutto ciò che avevo intorno a me come frequenza e vibrazione, non come apparenza, e capii a quel punto che la materia vive grazie all’energia che la muove e che non è il cervello che produce i pensieri ma è il pensiero che costruisce il cervello. Io sentivo questo, ed era questo che mi muoveva da dentro. Iniziai a percepire improvvisamente tutto perfetto e che niente e nessuno impazzisce, ma che tutto reagisce e che tutto è frutto di relazione.

Da quel momento decisi che per non tradire questa intuizione dovevo mostrarla…un po’ come fa la natura, non dimostrarla in maniera oggettiva. Mi interessava che le persone sapessero che esisteva, sapessero di questa esistenza, e la dimostrazione, se avveniva era un’auto-dimostrazione. Io mi sono solo sempre avvertita come ponte. Insomma, quello che avevo acquisito semplicemente osservando, non doveva per forza avere dimostrazioni scientifiche, razionali, logiche, matematiche, provate, incontestabili….a me interessava emozionare per arrivare alla percezione del corpo, delle cellule, della mente, trasmettere il sentimento che l’energia faceva fluire nelle cose trasportandole nello spazio poetico nel quale risiede l’invisibile. Non è stato un viaggio semplice perché i nostri occhi vedono le cose divise, separate. L’occhio seleziona, respinge, organizza, discrimina, associa, classifica, analizza, costruisce, ostacola. L’occhio limita molto la nostra vita per certi aspetti, certe frequenze addirittura non le capta proprio. Esso non vede spoglio, ma è molto capriccioso, vede i difetti ovunque e li cataloga, li scarta. Eppure io avevo come la sensazione che nonostante l’occhio avesse questi attributi, tutto fosse uno e non duale.

Mi riferisco al potenziale energetico, non all’identità. È la macchina fotografica che mi ha portato a testimoniare che tutto può essere liberato, a partire dall’occhio fisico, basta dialogarci.

È stata proprio la macchina fotografica che mi ha portato a testimoniare che tutto ciò’ può essere liberato.

La mia ricerca non è rappresentazione ma è “stato di presenza”, “ascolto” “ricerca del sé” secondo le leggi cosmiche e la definizione della creazione.  Il mio intento è quello di stimolare l’essere umano ad un processo e ad un percorso di esplorazione energetica, animica, alchemica, primordiale, trascendente, e di accesso verso la madre, la fonte, l’universo, tramite le frequenze e le vibrazioni cosmiche della natura. La natura, che utilizza come linguaggio primordiale le immagini. Ecco perché scelsi la pranofotografia e la fotografia. Un percorso che va oltre la tecnica fotografica, oltre l’occhio fisico, nel quale la macchina fotografica diventa strumento di indagine per il risveglio della coscienza e l’accesso al qui e ora, luogo di potere e di guarigione. È così ovvio che non si è presenti e connessi quando la fotografia “non viene”. Questo dovrebbe bastare per chi cerca una dimostrazione veloce o scientifica.

 

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