Accesso al qui e ora con la pranofotografia

La macchina fotografica benché fosse un oggetto, mi metteva in relazione in maniera molto più elevata che con una persona, e quindi diventò il mio interlocutore, il mio complice del presente. Lo schiacciare quel bottone, quel pulsante di scatto era come schiacciare il grilletto per uno sparo perfetto e dritto nel silenzio. Un gesto non fine a se stesso, ma che risuonava dentro di me, nello spazio, nella luce, e successivamente nell’osservatore con un’emozione. Era come entrare nel DNA delle persone e degli animali, nelle particelle della luce, nella linfa delle piante, nei circuiti elettrici dove tutto è interconnesso, e non sentivo più quella tristezza che per tanto tempo mi aveva accompagnato da bambina. Finalmente avevo un mezzo che poteva essere messo al servizio dell’umanità. Un’umanità che ha paura di svanire, di sparire, paura di vivere, ma che grazie ad una fotografia, intesa come una nuova immagine in 4d anziché in 2d, può vedere esattamente che cosa accade nell’essere evanescenti, impermanenti, precari, fragili, e può acquisire la capacità di lettura di trovare in queste emozioni la bellezza e il potere del cambiamento, della trasformazione, della sofferenza e del dolore; poiché una foglia secca non è morta, si è solo trasformata, ed è meravigliosa.

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