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Autore: Pierfrancesco Lostia

L’arte senz’arte

Questo testo completa una trilogia dedicata a un viaggio di ricerca e riconnessione individuale, il mio. L’auspicio di chi scrive e di Tenet22 che questi scritti ha deciso di ospitare, è che chi legge possa trovarvi almeno qualche spunto utile per il proprio di cammino.
Qui ci immergeremo in un’altra via di riconnessione con l’infinito, anch’essa troppo spesso fraintesa e vilipesa: Il Jeet Kune Do, traducibile come “via per intercettare un pugno”, ma più significativamente con il concetto di “Arte senz’arte”.

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Una via senza nome

Fra il 2008 e il 2009 ho conosciuto e iniziato a praticare il metodo neuromotorio Feldenkrais e il Jeet Kune Do, l’arte marziale di Bruce Lee. Sono queste le due direttrici che hanno guidato, fino a oggi, il mio desiderio di scoperta delle pratiche di benessere, riconnessione con il sé profondo. Man mano che esploravo, mi imbattevo in indizi che sembravano parlarmi di una conoscenza antica e primigenia nei cui confronti, chi più chi meno, tutte le pratiche di risveglio contemporanee sembrano dover qualcosa in termini di principi e intuizioni. Nel 2017, per caso, mi imbatto in una parola: Tantra.
Capii la profondità di questa parola, intuendo che dietro di lei ci sono giganteschi oceani di saggezza millenaria, impossibili da etichettare. Compresi anche che la tradizione tantrica era alterata, se non proprio inquinata.

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L’intelligenza del corpo in movimento

«Se sai quello che fai, fai quello che vuoi».
«Ascoltare il corpo in movimento, giocare con lui, è il modo più efficace per plasmare la nostra mente».
La prima frase, ben lungi dall’essere uno slogan commerciale, è una affermazione utilizzata da Moshé Feldenkrais (1904 – 1984), per spiegare la natura della pratica psico-corporea che porta il suo nome. Il secondo pensiero virgolettato è dello scrivente, praticante Feldenkrais da circa 15 anni. Un pensiero, quello da me espresso, che Moshé ha declinato in modi molteplici e più efficaci del mio. L’insegnamento che sintetizza ogni scoperta fatta dal professor Feldenkrais, possiamo racchiuderlo come segue: ogni aspetto della nostra vita, inclusi l’autostima, la capacità relazionale e la creatività, è strettamente connesso alla nostra postura e al modo in cui ci rapportiamo col nostro corpo in movimento.
Personalmente definisco così il Feldenkrais. È un pennello per disegnare e ridefinire, all’infinito, la nostra immagine interiore ed esteriore. È uno strumento con cui “impariamo a imparare”. In altre parole, praticando Feldenkrais miglioriamo in ogni area della vita, perché la facciamo in modo più funzionale. Non esiste il giusto e lo sbagliato nella pratica di cui parliamo. Esiste soltanto un fare più comodo, facile e funzionale, come abbiamo già detto. E il parametro siamo noi stessi.

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