Nella sua definizione di Inconscio, Sigmund Freud lo assimilava a una scatola nera contenente tutti quei vissuti e pensieri che la coscienza dell’individuo rimuove.
Davvero interessante come, più di un secolo fa, in pieno razionalismo, si sia giunti a teorizzare l’esistenza di un sistema “invisibile”, che sfugge all’analisi e al controllo della mente conscia, e che, come sosteneva Freud, governa più di quanto non immaginiamo i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre scelte.
Egli riteneva che nessun evento psichico sia generato dal caso, che ogni nostro processo mentale abbia un’origine ben precisa, alla quale è possibile accedere quasi unicamente indagando l’Inconscio.
Cent’anni dopo, le tesi di Freud si arricchiscono di risvolti e teorizzazioni ulteriori. Non solo si sposa l’idea che l’Inconscio sia il vero regista della nostra vita, ma si cerca di comprendere “chi” vi sia dietro di esso e “che cosa” realmente contenga.
Giunti a questo stadio della nostra evoluzione incarnativa non è più possibile ignorare fino a che punto ogni individuo sia la somma di componenti fisiche (corpo), psichiche (mente conscia e inconscia) e spirituali (Anima) e sia guidato in questa esperienza di apprendimento e riarmonizzazione da una Regia più alta (Sé Superiore).
Dopo anni di studi e approfondimenti, non posso che considerare questa prospettiva come l’unica in grado di fornire un’interpretazione veritiera del senso e della finalità dell’esperienza umana su questo pianeta della replica.
Ai miei occhi, il concetto di karma ha assunto una forma e un significato sempre più compiuti, in particolare dopo l’incontro con la filosofia Huna, antica di millenni ma riproposta in Europa nei primi anni del 2000 attraverso i concetti di Aloha e di Ho’Oponopono.
Stando a questo antico sapere, Karma e Inconscio sarebbero strettamente associati. La scatola nera di cui parla Freud non conterrebbe unicamente i vissuti dell’attuale esistenza, bensì anche quelli di esistenze passate attinenti al programma di apprendimento scelto dall’Anima prima di riprendere un corpo nella terza dimensione.
Giunti a questo stadio della nostra evoluzione incarnativa non è più possibile ignorare fino a che punto ogni individuo sia la somma di componenti fisiche (corpo), psichiche (mente conscia e inconscia) e spirituali (Anima) e sia guidato in questa esperienza di apprendimento e riarmonizzazione da una Regia più alta (Sé Superiore).
Da qui a comprendere che l’essere umano funzioni in gran parte per automatismi, finché non giunge ad averne pienamente coscienza, il passo è breve.
Per chi sceglie la via della consapevolezza come binario di scioglimento karmico, scaricarsi dalla responsabilità del passato e assumersi la responsabilità del presente a mio avviso è un percorso accelerato di elevazione e guarigione interiore, che sfocia in quel sottofondo persistente di serenità ed equilibrio a dispetto delle onde increspate del mare dell’esistenza.
A seconda del grado evolutivo dell’Anima, infatti, differenti sono i binari percorribili. Laddove non vi è ancora coscienza risvegliata, sono gli eventi (anche traumatici), gli incontri (anche drammatici) a intervenire per riportare in equilibrio la bilancia karmica e offrire nuovi spunti di apprendimento per l’Anima.
Riagganciandomi alla filosofia Huna, noi non possiamo conoscere con esattezza fatti e misfatti di cui le nostre precedenti incarnazioni sono state protagoniste nel lungo ciclo di morti e rinascite. Certamente, vi è la possibilità di intuire, di sondare, di ricordare – tecniche, pratiche e facoltà allo stato attuale non mancano – ma non risulta fondamentale per rimettere a posto le cose con il passato.
È sufficiente osservare l’oggi. Ciò che s’incaglia e non fluisce, ciò che provoca sofferenza e riapre ferite, ciò che come un elastico ci riporta indietro, ciò che è faticoso quanto risalire la corrente o ciò che si attiva sempre in automatico ci racconta inequivocabilmente di un “nodo” karmico la cui memoria è inscritta nell’Inconscio.
Appartiene alla nostra consuetudine (umanità è fragilità) riversare sugli altri o attribuire agli altri fatiche e sofferenze.
L’Ego, che molto ha subìto nell’infanzia e nella prima giovinezza (non cosciente che fosse l’Anima ad aver scelto quelle prove per porre le basi dell’apprendimento e della futura guarigione), sale in cattedra e inizia a cercare colpevoli per evitare nuovamente di subìre da altri “aguzzini”.
A mio vedere, nei primi vent’anni o poco più si manifestano i nodi karmici salienti che la Regia superiore ha pianificato di sciogliere nell’arco dell’esistenza e che daranno forma alla nostra vita “adulta”.
Come anticipavo, non essendo umanamente possibile (perlomeno allo stadio evolutivo attuale) tornare nel passato per rimuovere quei blocchi, l’unica via di guarigione percorribile è intervenire sul presente attraverso un lavoro cosciente di autoascolto, intuizione, osservazione acuta delle proprie dinamiche interiori, relazionali e di reazione agli stimoli della realtà circostante. Banalmente, anche solo ogni volta che ci si “arrabbia” si sta in automatico rivivendo qualcosa dei propri passati.
La legittima fatica che comporta assumersi la responsabilità delle proprie sofferenze impedisce spesso di vedere negli ostacoli nei quali ci imbattiamo un’opportunità di crescita e guarigione, invece che un rovescio di fortuna, un accanimento del destino, la tirannia di chi ci è accanto, la malvagità del mondo…
Ciò che s’incaglia e non fluisce, ciò che provoca sofferenza e riapre ferite, ciò che come un elastico ci riporta indietro, ciò che è faticoso quanto risalire la corrente o ciò che si attiva sempre in automatico ci racconta inequivocabilmente di un “nodo” karmico la cui memoria è inscritta nell’Inconscio.
L’Ego prende tutto sul personale. Ogni offesa va lavata e vendicata, non essendo vista che come un accanimento gratuito degli altri su di noi.
L’Ego assume volentieri il punto di vista della “vittima”. L’impotenza che ne consegue solleva dalla responsabilità di fare uso del proprio libero arbitrio per smuovere, sbloccare, trasformare, cambiare, allontanare…
Alla base, un’unica ragione: la paura di perdere. Perdere qualcosa che la nostra mente ritiene fondamentale per sopravvivere o per conquistare una parvenza di “felicità” (concetto che meriterebbe un approfondimento a sé).
In realtà, si sta parlando di una proiezione dell’impotenza sperimentata nell’infanzia. In quell’età di innocenza, genuinità e vulnerabilità, l’alienazione di bisogni primari può aver scatenato il giustificato timore di “non farcela”, che, seppur frequente e comune, non ha più ragione di esistere in età adulta. Idealmente, da “grandi”, potremmo affrontare qualsiasi perdita, per quanto drammatica e dolorosa.
Il timore di “non farcela”, se reiterato nel tempo, si traduce nella tendenza a voler dirigere la propria vita e quella degli altri, a voler controllare gli eventi, a voler imporre idee, certezze e convinzioni, quando, in realtà, è l’Inconscio a farli materializzare sul palcoscenico dell’esistenza a nostra insaputa e al di fuori del nostro controllo.
La “forza di volontà” è una spinta mentale, un impulso razionale che spesso si mette fra noi e il disegno dell’Anima.
Prima accettiamo di abbandonare il controllo sulla nostra vita, prima su quel palcoscenico saliranno attori e situazioni, eventi ed esperienze autenticamente in linea con il nostro programma di crescita ed evoluzione spirituale.
Se lasciamo che sia l’Inconscio a prendere in mano il timone della nostra esperienza incarnata, avremo la certezza di essere pienamente nel nostro “solco”, saggiamente orientati dalla nostra bussola interiore.
Certamente, per consentirci di esprimere al meglio le nostre potenzialità evolutive, andrebbe prima liberato e ripulito da quelle concrezioni emotive cristallizzate a partire dall’infanzia (e da passati più lontani).
Il ventaglio degli strumenti di guarigione spirituale (karmica), attualmente sempre più ampio, contempla percorsi che abbracciano visioni all’apparenza anche diverse fra loro ma, a mio vedere, tutte accomunate dalla medesima finalità: alleggerire l’essere umano e, di conseguenza, l’Anima che lo informa.
Sciogliere è arduo. Innegabile. Richiede impegno, presenza lucida e coraggio, in proporzione variabile a seconda dell’entità del nodo e del grado di consapevolezza della persona.
Nella mia esperienza diretta (integrata e arricchita da quella degli esseri umani che ho seguito e accompagnato in questi anni), è davvero impossibile non sperimentare, lungo il sentiero della guarigione, stati d’animo di fallimento, senso di colpa, scoraggiamento, frustrazione, impotenza…
Ci si domanda: “Perché ci ricasco? Non ho imparato nulla dal passato? Tutto il percorso e il lavoro fatto su di me non sono serviti a niente se mi ritrovo ancora invischiato in questi vortici di dolore?“.
La “forza di volontà” è una spinta mentale, un impulso razionale che spesso si mette fra noi e il disegno dell’Anima.
A guardare meglio, nei momenti di maggior chiarezza mentale si realizza invece che la risalita da quegli ingorghi è via via più rapida, che non si resta, come un tempo, intrappolati per giorni, se non settimane o mesi, in quel malessere e che ci si autorizza più di buon grado a fare appello agli strumenti acquisiti negli anni di lavoro su di sé.
Un primo passo fondamentale nei momenti in cui si ricade nelle dinamiche karmiche è il Perdono verso se stessi. Già la semplice ripetizione a mantra di questo concetto allevia il senso di fatica. Nel pronunciarlo una parte di noi si rilassa, lascia andare tensioni, asseconda il movimento, si abbandona al flusso…
In secondo luogo, non possiamo davvero mai prescindere dalla Responsabilità. Dimentichiamo spesso e volentieri che, pur se a nostra attuale insaputa, abbiamo scelto di essere ciò che siamo e di sperimentare ciò che stiamo sperimentando. Dimentichiamo che quell’ostacolo, quella difficoltà che può pesare come un macigno altro non è che un’opportunità di lasciare andare in via definitiva. E più pesa, più è prezioso perché prelude a una liberazione, a una guarigione. Se si tiene a mente l’obiettivo e la natura della fatica, la si può sostenere diversamente.
E da ultimo la Fiducia: in noi stessi, nel nostro disegno e in chi lo guida. Se le nostre tre componenti (fisica, psichica e spirituale), ovvero, secondo la visione Huna, i nostri tre Sé (inconscio, conscio, superconscio) tornano a comunicare fra loro con un lavoro di riarmonizzazione, integrazione e connessione, percepiremo sempre più chiaramente attraverso segni, intuizioni, illuminazioni, ispirazioni quali siano il nostro solco e la nostra direzione in questa vita.
Il risveglio dal torpore dell’incoscienza e la consapevolezza della nostra vera natura ci permettono di non rischiare più cadute rovinose, ma inciampi che lasciano solo qualche segno, guaribile con la terapia dell’Amore per sé.
Ciò che conta è aver compreso (anche se non tutto verrà ricordato), che qualche laccio si sia sciolto, che qualche antica catena si sia spezzata, che si sia fatto un passo avanti sul cammino verso la libertà di esistere senza più passati, ma solo nel presente assoluto.