INCIPIT

Quando ero molto giovane e avevo da poco iniziato la scuola di mimo e clown un amico fraterno più grande di me, che io sentivo come una sorta di guida, mi disse: “Il nuovo Messia arriverà in modo inaspettato, magari con un vestito da saltimbanco in sella ad un monociclo, e chissà… può darsi che non se ne manifesterà più uno solo ma saranno in molti, in modo che il loro verbo si possa diffondere più rapidamente e non sarà così facile metterli tutti quanti in croce”.

Questa immagine/metafora sarebbe rimasta impressa nella mia mente di “giovine virgulto”: forse perché avrei voluto essere uno di loro.

NASCIMENTI

Sono un figlio unico nato e cresciuto nella provincia centro italica, in una città portuale ibrida, tangente, paradossale come Livorno. Una terra di confine.

Ho avuto la fortuna di avere due genitori amorevoli, con un senso spiccato dell’umanità, due persone nate negli anni Trenta che hanno passato guerra, fame e sfollamento, due persone che hanno dovuto anzitutto salvarsi la vita per poi provare ad attraversarla. Entrambi si sono portati inevitabilmente appresso, accanto ai loro doni, anche le loro “ombre”, vista la difficoltà a trovare tempo e opportunità per “lavorare” su di Sé.

Io, bambino ipersensibile ed “educato”, sono cresciuto giocando a calcio e con l’amore per gli animali, con in sottofondo il refrain quotidiano di una madre patologicamente apprensiva che mi diceva ossessivamente “non sudare”. Per anni ho cercato di risolvere l’enigma di andare a far goal evitando il sudore – senza riuscire a risolverlo, naturalmente. Accanto a lei c’era un padre meraviglioso ma con la sua “ossessione”: il giudizio degli altri.

La sua frase simbolo era “fai piano”. Ed io – bambino cinetico, sportivo e innamorato della vita – provavo a tenere sopiti voce ed entusiasmi per rispondere ai dettami paterni. Fatto sta che tutte queste compressioni mi portano nella tarda adolescenza ad avere una sorta di scissione della personalità con crisi di panico (il dio Pan era finalmente comparso per rimettermi in carreggiata con la mia anima).

In questo attraversamento difficile e doloroso, incontrata la follia della medicina ufficiale, un colpo di scena mi porta fuori dal pericoloso vortice degli squilibri psico-fisico-energetici.

LA SVOLTA

Il colpo di fortuna è avvenuto al liceo, grazie all’incontro con compagni di classe meravigliosi, anime evolute che contribuiscono indirettamente a traghettarmi oltre lo Stige. Diversi di questi oggi sono uomini e donne di successo e di alta vibrazione. Cito fra tutti Federico Sardelli – grande musicista, compositore, direttore d’orchestra – e Giovanni Avogadri – poeta di qualità oltreché professore dotto.

Tra le altre cose mi accorgo di quanto mi piaccia ridere, divertirmi e far divertire gli altri. I cinque anni del liceo, con questi compagni di viaggio, sono stati marchiati “dalle gore” di sudore sotto le ascelle per le risate che dovevano essere almeno in parte nascoste dietro la schiena dei compagni, per farsi vedere il meno possibile. Uno spasso. Insieme a Federico ideammo sui banchi di scuola due personaggi fumettistici: “Il Sommo Poeta” e il “Mago Afono” che pochi anni dopo lui avrebbe reso famosi attraverso le pagine del mensile satirico il Vernacoliere. Io invece li porterò direttamente sulla scena “in carne ed ossa”.

Con quella spinta creativa e vitale coinvolgevamo gli altri studenti del triennio e durante gli intervalli, quasi ogni mattino, organizzavamo delle mini performance improvvisate di stampo goliardico. Da quella voglia di continuare a divertirmi, divertire e improvvisare, presi la decisione di seguire un corso di teatro.

Lì la svolta: mi aiutò un pirata!

Durante le prove, infatti, interpretando un avventuriero dei mari, mi accorsi che sudavo, sbraitavo e veleggiavo sopra le righe e sopra i giudizi del “mondo”, in uno spazio  sacro dove nessuno poteva dir nulla a Stefano perché non ero io ad agire ma il pirata.

Fantastico!!!

Una nuova breccia apre la “Porta Pia”.

I personaggi possono quel che Stefano non riesce ancora a permettersi. Da lì inizia un lungo apprendistato per traslare dalla scena alla vita le conquiste, le ricerche, le esplorazioni, le sperimentazioni. Il teatro diventa prestissimo il mio mestiere. All’inizio saranno feste, animazioni, spettacoli di strada o per le scuole. Poi arriverà il resto, ma queste prime esperienze mi daranno il gran privilegio di rendermi economicamente autonomo dalla mia famiglia.

UN’INTUIZIONE GENIALE

Tra i miei compagni di corso alla Scuola di mimo e clown “Quelli di Grock” c’era anche un mio caro amico, Lamberto Giannini, che si sarebbe presto rivelato essere un talento della realizzazione pratica. Un giorno, durante il secondo anno (la scuola era di tre anni), mi disse con espressione di chi ha avuto un’intuizione: “Stefano bisogna insegnare!” Io la presi sul filosofico e concordai sinceramente con lui, avevo tra l’altro già sentito, seppur all’inizio del mio percorso, di avere quel “quid” innato che ti fa essere una buona guida per gli altri. Lui, però, accorgendosi dell’equivoco ribatté prontamente:

“No, no, non un giorno, ma ora, subito!!!” Rimasi basito. Cosa significava ora, subito? Come era pensabile che due ragazzini al secondo anno della prima scuola potessero insegnare? E poi cosa? E a chi? Lui continuò preciso, sintetico, deciso: “Perché è solo insegnando che si impara per bene”. Ero come spaventato e non volevo vedere più in là, troppo ardito, troppo veloce.

Poi però chiusi gli occhi… e mi buttai come si fa con l’Ottovolante.

Presto seppi che Lamberto aveva perfettamente ragione. Quello era il tempo giusto. L’importante era farlo con onestà: andando a insegnare agli altri quello che ci interessava di più e facendolo con amore e umiltà. Iniziammo con i bambini, poi i ragazzi e poi anche gli adulti, non professionisti, che avevano voglia di divertirsi.

In questo, sì, eravamo già dei “professionisti”: saper divertire.

E, come dicevo, avere il privilegio dei soldi in tasca faceva la differenza.

IL MAESTRO

In quegli, anni poco più che ventenne, “il caso” decise di portarmi anche in dono il primo incontro extra ordinario: Francisco Sirigu d’Intramontes, il Maestro.

Pareva anche lui vestire i panni di nuovo Messia, travestito da pittore-scultore-inventore, fuori da tutte le scuole, accademie, correnti, stili, direzioni, definizioni.

Il Maestro dell’ “essere Se stessi”. Un’ Anima autenticamente antica, fuori dal tempo.  Oggi, a distanza di una vita, e dopo aver avuto il privilegio di incontrare e collaborare con Maestri riconosciuti di valore assoluto, posso dire senza alcun dubbio che Francisco era davvero un’ Anima meravigliosa, con qualità eccezionali.

Lui mi prese sotto la sua egida e iniziò a guidarmi verso la dimensione dell’impossibile.

La prima frase che mi disse vedendomi fu: “Tu sei uno spadaccino. Vieni, ti faccio un ritratto” e su un tavolo di osteria in pochi minuti con un carboncino mi realizzò su carta una versione di me con sorprendente qualità e intensità. “Tu sei fatto per inventare poesie” mi disse “e riconoscere l’anima attraverso le facce delle persone. Io ti posso insegnare ma non è facile seguire la mia strada”.

Mi parlò della fisiognomica, scienza antica e rivelatrice, e per anni mi ha addestrato senza mai più citarla, solo esercitando, “le parole sono inutili servono le azioni”.

E infatti presto si rivelò il mio talento sia per improvvisare poesie che per leggere le anime attraverso i volti.

RITRATTI SCRITTI

Molti anni dopo sarebbero nati i Ritratti Scritti , una vera e propria invenzione nata da una visione sulle rive dell’Oceano Atlantico.

Vivevo da qualche anno tra Madrid e Lisbona, lavorando con la Compagnia Teatro Meridional, co-fondata insieme a due attori spagnoli e un portoghese, incontrati in precedenza alla Scuola di Commedia dell’Arte.

Il nostro primo spettacolo “Ki faxiamu noi kui” vinse il Festival Internazionale di Casablanca in Marocco e da lì arrivò un successo immediato e progressivo con spettacoli e repliche in mezzo mondo. Sono poi seguite altre creazioni sceniche. Dopo circa tre anni di grandi soddisfazioni artistiche sentii però che “dovevo” tornare in Italia, qualcosa mi chiamava, come se avessi da proseguire un percorso personale nel Bel Paese. Dopo tanto tempo che mancavo però, mi accorsi che per me significava quasi ripartire da capo, non poteva proprio essere immediato il reinserimento nel tessuto artistico italico. Avevo bisogno in questo frattempo di trovare un modo appagante per avere una remunerazione quotidiana in attesa del “Nuovo Corso”.

Mi ricordo indelebile l’immagine di me sdraiato in una stanza della casa di Costa di Caparica (vicino Lisbona), pochi giorni prima di tornare, con lo sguardo perso sull’Oceano che si apriva davanti, che pensavo: “Cosa faccio ora? Come posso guadagnare questi soldi? E come posso guadagnarli con qualcosa di cui sono contento?” Alla fine di quel pomeriggio mi accorsi che le due “pratiche” che più volentieri avrei intrapreso erano: approfondire studi di fisiognomica e scrivere poesie. Da questo incipit prese luce l’idea di improvvisare poesie guardando le facce della gente e farmi pagare per questo.

Nei giorni successivi inventai un banchetto portatile con sedia pieghevole al seguito e un leggio con scritto “Ritratti scritti: ritratti poetici sui tratti somatici” (successivamente la feci scrivere con bellissima calligrafia dal mio antico sodale e splendido artista Federico Sardelli).

Quell’ estate stessa cominciai a girare per la maggior parte dei Festival teatral-musical-culturali nelle piazze e nei borghi d’Italia. Fu un successo immediato. Anche oggi, a distanza di oltre 25 anni, capita che ne abbia ancora richiesta. Per una quindicina d’anni li ho fatti con continuità per poi essere “sostituiti” dalla Lettura del Nome.

DANZA

In Italia, oltre ai Ritratti, mi impegno sia nel mio nuovo inserimento artistico che nella formazione. Vengo calamitato dalla meraviglia della danza, soprattutto quella contemporanea e la Contact, e mi “butto” seppur non più adolescente in questo percorso di apprendimento. Ho la fortuna di incontrare anime e professionisti di grande valore di cui, tra gli altri, Ornella d’Agostino, Raffaella Giordano, Inaki Izpillaga, Didier Silhol, Nicola Laudati, Ray Chung, che mi donano un’indelebile impronta stilistica. Ho la conferma che non posso prescindere dal fatto che il corpo sia ancora “l’unica nostra forma che abbiamo di stare al modo” e sento che mi nutro “a tutto tondo” quando lo valorizzo e ne esploro le possibilità espressive. Il bambino che giocava a calcio, a ping pong, a tennis e che eccelleva in tanti sport (nonostante il tema “sudore”) traslò il suo entusiasmo in altre discipline senza perdere però quell’energia vitale che lo faceva sentire vivo e presente.

Danza e calcio sono stati quindi due innamoramenti che, come da copione, potevano recare al contempo meraviglia e “dolori”. Da piccolo c’era stato il diktat materno del “non sudare” a scatenare “il lato ombra”, in seguito la scoperta della danza si assocerà ad un’altra parola: affanno. Iniziando infatti a danzare molto tardi rispetto a età canoniche mi sono dovuto conquistare “sul campo” le cosiddette basi. In più non sono partito soft, con un morbido apprendistato, ma ho fatto subito d’emblée il salto con i professionisti.

A vedermi da fuori credo somigliassi al Bianconiglio di Alice, continuamente trafelato e rincorso dal ticchettio del suo orologio. Inseguivo chi pareva irraggiungibile: troppo avanti, troppo bravo per me. Spesso mi sentivo sconfortato. I coreografi parevano icone di impietosità. Nessuno che rallentasse o che si fermasse a spiegare meglio al tapino in ritardo. La loro indifferenza al mio dibattermi si sarebbe rivelata di grande efficacia. Perché proprio nel momento in cui “lasci il mentale” e permetti al corpo di agire accade il miracolo: sei al posto giusto, sapendo il da farsi.

Iniziai con i Corsi di Ornella d’Agostino a Cagliari che, nonostante il mio arrancare e le mie rigidità di non danzatore, nelle pause mi stimolava a proseguire e tener duro. Fu una bella soddisfazione quando tre anni dopo la rincontrai per una specializzazione. Nel frattempo avevo fatto un percorso intensivo di formazione con diversi insegnanti di grande valore e vedendomi danzare lei disse: “Stefano cosa ti hanno fatto, ti hanno spianato e spalmato? Fantastico”.  E mi prese a lavorare in Compagnia con lei.

Circa il tema “dibattersi” mi sovviene un’altra immagine, traslata all’ambito teatrale. Ero tra Bologna e Milano per la Formazione teatrale con Ludwig Flaszen, grandissimo personaggio internazionale, collaboratore diretto dell’indimenticato Jerzy Grotowsky. Eravamo una quindicina di allievi da tutta Italia, la caratteristica dell’orario prove era che cominciavamo alle 17.30 per finire a ora imprecisata – poteva essere anche la mattina dopo. Il training iniziale, molto fisico e molto intenso, durava dalle due-tre ore: era talmente strong che è capitato che qualcuno stramazzasse a terra senza forze. Ecco, non potrò dimenticare quel “folletto” – allora sessantacinquenne – che più volte in un italiano-polacco diceva allo/a stramazzato/a: “Questo buonissimo momento, molto buona occasione per apprendere senza mente,  subito iniziare lavoro personaggio” e cominciava a dare direttive per la parte attoriale mentre il tapino/a, con gli occhi ancora incrociati e inebetiti dalla stanchezza, non sapeva se scappare, piangere o provarci.

TEATRO

Se la danza diventa una sorta di mia ancella il teatro resta la guida, la via maestra. Qui le esperienze professionali più intense.

Dopo la formazione giovanile alla “Scuola di mimo e clown”, a quella di “Commedia dell’Arte” e la meravigliosa esperienza con Ludwig Flaszen, sceglierò di sperimentare, produrre e andare in scena senza ulteriore formazione teatrale.

Mi lascio portare dal flusso del “dentro-fuori” e sperimento di tutto, evito solo ed accuratamente il teatro di prosa che mi annoia molto – sia a farlo che a vederlo.

Mi innamoro, invece, del connubio Teatro e Territorio e con la mia compagnia Bolognese “Teatro Ferramenta” avrò modo di realizzare per anni spettacoli-evento in tutta la penisola dedicati ai luoghi: eventi scenici, sit specifici, studiati e approntati su misura per il luogo. Un modo pratico per creare un ponte attivo con la mia antica passione per l’arte, la memoria storica e la valorizzazione del nostro incredibile patrimonio di meraviglie.

Al contempo approfondisco e sperimento nell’ambito del Teatro di Narrazione, portando sulla scena tanti personaggi storici tra cui Dante e Leonardo. Attraverso un linguaggio profondo e leggero, divertito e intenso, colto e popolare, desidero mettere in luce il lato umano, la vicenda biografica di queste straordinarie figure, spesso conosciute solo per stereotipi. Questo tipo di scelta stilistica mi permette di creare un linguaggio capace di rendere “vivo” il teatro, di riavvicinarlo alla gente togliendo quell’alone accademico-ottocentesco di rigidità culturale che ne limita portata e diffusione.

Sono calamitato da quelle koiné ibrido-creative dove convivono e collaborano danzatori, musicisti, attori, cantanti, acrobati, animali, pupazzi, teatro di figura, figuranti, mi trovo in sintonia nelle situazioni circensi, nella multidisciplinarietà della creazione, dove tanti linguaggi vengono chiamati a trovare sintesi espressive.

In questo contesto di moltiplicazione due esperienze meritano una citazione:

i Musical di piazza e il Teatro Stalla.

Nel primo caso la collaborazione con la Compagnia Todo Modo di Livorno e col mio caro amico Pietro Contorno, portano alla creazione di questo format che si sarebbe rivelato azzeccatissimo: un Musical di strada con impianto teatrale. Quindici attori-cantanti e dieci musicisti dal vivo, Una sorta di kolossal che ha girato le piazze d’Italia con grandissimo successo trasversale di pubblico. Energia, ironia, qualità professionali, bellezza estetica, in uno stile sobrio e sostenibile, un ecospettacolo di grandi dimensioni. Ne abbiamo prodotti due tra il 2005 e il 2010: “Pinocchio Superstar” (dove si vedevano le vicende e i personaggi di Pinocchio ma si raccontava la vita di Gesù) e “Alice di Carta” (un’interpretazione di “Alice nel Paese della Meraviglie” dove tutto, dalla scenografia ai costumi, era fatto di carta).

Il Teatro Stalla, invece, è un’esperienza che nasce dalla collaborazione tra La Città del Teatro di Pisa – dove ho lavorato per diversi anni – e la Fondazione Emilia Bosis di Bergamo che si occupa di psichiatria. Nella loro struttura di Cascina Germoglio, a Verdello (Bg), hanno una gran quantità di animali che usano per la terapia con i pazienti, sia nella fase di accudimento che di addestramento. La collaborazione con la Fondazione Bosis è durata per quasi 10 anni, durante i quali si sono allestiti spettacoli circensi di gran valore con umani (artisti, operatori, pazienti) e animali insieme. Viste le particolari esigenze di prove e spazi, il presidente della Fondazione Piero Lucchini, decise di costruire il primo Teatro Stalla d’Italia adibito appositamente ad eventi per umani e animali insieme. L’inaugurazione è avvenuta ad inizio anno 2014 con due spettacoli, tra cui “Zoologico” con la mia regia e uno firmato da Alessandro Garzella. Questi due eventi e la genesi del Teatro Stalla sono ben raccontati in una bellissima pubblicazione curata da Andrea Porcheddu, Teatro Stalla. Animali, uomini, dei, per l’edizione Moretti & Vitali.

Come dimenticare, inoltre, i Viaggi Equus con la carovana variegata e circense della Fondazione Bosis. Percorsi alla maniera delle compagnie itineranti cinquecentesche. Un convoglio di umani, animali e carrozze che partiva in tour-tournée da Cascina Germoglio. Una troupe di pazienti, operatori, attori, performer che con carrozze, cavalli, e biciclette, a passo “d’uomo e d’animale”, faceva percorsi studiati su strade bianche del territorio lombardo per poi – dopo due-tre settimane circa – tornare a Verdello. Una combriccola ogni sera accolta e ospitata in una location differente, molte volte facendo spettacolo in piazza. Una riproduzione d’epoca in perfetto stile. Un’esperienza che ha bisogno alle spalle di un’organizzazione enorme, in questo caso assicurata dallo staff della Fondazione Bosis. Siamo riusciti ad esportare il format anche in Francia, con una “fondazione gemellata”, riproducendo eventi e tappe con puntate sulle spiagge del Mare del Nord tra carrozze, cavalli, ostriche e musica.

FORMAZIONE

Grazie all’imprinting con Lamberto Giannini mi sono divertito nel tempo ad insegnare nei luoghi più disparati: e ha funzionato! Non è questione di ego, ma semplicemente di farlo in modo autentico e seguendo il sentire profondo. Mi sono trovato a mio agio a insegnare mimo, teatro, espressività corporea, danza, bioenergetica, commedia dell’arte, mi sono divertito a far danzare gli attori e far parlare i danzatori. Non credo che insegnare sia il termine giusto, mi risuona di più l’espressione “far da momentanea guida”: una sorta di amplificatore di attitudini e talenti.

Mi sono trovato a tenere corsi e percorsi, spesso con happening o performance finali nei luoghi più disparati: carceri, centri psichiatrici, università, teatri, centri olistici, monasteri, industrie, palestre, sale da ballo.

Ricordo la meravigliosa esperienza sia umana che artistica al Carcere di Gorgona Isola (Li) dove abbiamo prodotto, a coda della formazione, sia spettacoli che cortometraggi di valore. Unica vera incognita costante: il vento.

Per raggiungere l’Isola il servizio di traghetto classico era solo una volta la settimana. Per cui noi viaggiavamo con le vedette della Guardia Penitenziaria – che partivano al mattino dal porto di Livorno – ma se per caso durante la permanenza sull’Isola per la giornata di lavoro si fosse alzato vento e di conseguenza ingrossato il mare, la vedetta medesima non poteva assicurare il viaggio di ritorno fino a che la natura si fosse placata. Per cui partivi senza aver garanzia di quando saresti tornato. Passare dei giorni su un’Isola “isolata” e penitenziaria è un’esperienza direi privilegiata, ma non a “buon mercato”. Scoprii, per esempio, che in quel contesto i veri detenuti erano le guardie carcerarie.

Un altro tuffo, ma stavolta nel verde, è stato quello al Monastero Zen Sanboji nelle alte colline dell’Appennino Tosco-Emiliano (vicino Berceto). Per circa tre anni (nel periodo estivo) ho allestito insieme al Maestro Tetsugen dei percorsi di Formazione definiti Actor-Zen, tra teatro e pratiche dell’antica arte-tradizione giapponese. Una sorta di immersione intensiva nel silenzio, nel verde, nelle albe, nell’invenzione, nel paradosso di essere lì in quella veste, in quell’ibridazione.

“ARRIVANO I NOSTRI”

Ero una sera al Teatro Del Porto a Livorno a vedere uno spettacolo di fine Laboratorio tenuto del mio amico e collaboratore Michelangelo Ricci (direttore del Teatro del Porto medesimo). C’erano una quarantina di persone di varie età in scena in un bailamme energetico di corpi, parole, canti e gesti. In quel trambusto creativo notai un’allieva che aveva una qualità espressiva e un tipo di energia fuori dal comune. Dopo lo spettacolo un’amica comune me la presentò ed io mi congratulai sinceramente con lei. Qualche mese dopo Effetto Venezia (la Festa popolar culturale per eccellenza dell’estate livornese) mi commissionò una produzione piuttosto grande ed era giunto il momento di fare il cast. Mi mancava proprio la protagonista, ci voleva un’attrice-cantante. Tanti provini e tentativi ma qualcosa non mi convinceva. Ad un certo punto mi arrivò alla mente la ragazza del Teatro del Porto. Mi dissi: “È lei la protagonista!” La voce dell’emisfero sinistro mi diceva: “Non la conosci”, “è una principiante”, “non sai nemmeno se sa cantare… come pensi di farle fare la protagonista?” La voce di quello destro, però, mi diceva chiaro di andare dritto. La rintracciai e la chiamai, le dissi: “Ho da farti una proposta di lavoro: cosa fai dal 30 giugno al 15 agosto?” Dall’altra parte una sorta di balbettamento e frasi vaghe. Subito a ruota le chiesi. “Sai cantare vero?” La risposta fu affermativa ma sottolineando che non c’era niente di professionale. Lo faceva solo per gioco. “Va bene è sufficiente”. E le diedi l’appuntamento per una sorta di provino la settimana successiva. L’incontro-prova durò meno di mezz’ora. La feci muovere nello spazio, cantare un paio di canzoni a piacere, fare delle espressioni col viso e leggere qualche riga. L’intuizione avuta era giustissima. Era lei!

Sotto la patina dell’inesperienza e della materia grezza, c’era un talento enorme, addirittura più grande della sensazione che avevo avuto. Lo spettacolo fu un successo di pubblico e critica, e lei incensata come giovane protagonista.

Scoprii successivamente che si occupava anche di video e montaggio, così la collaborazione si ampliò, fino ad allargarsi oltre palco e scene: la scintilla artistica divenne freccia con dardo di Cupido. Valentina Grigò divenne la mia compagna e andammo presto a vivere insieme. Decidemmo per la campagna, quasi bosco, tra la provincia di Pisa e Firenze, in quel di Marti, nel comune di Monopoli val d’Arno.

Un luogo bellissimo: più che adatto a quella nuova partenza.

In quella casa, in quel posto magico, tre anni e mezzo dopo circa, sarebbe nata Greta Elodie: era il 12 maggio 2010. Dopo un forte temporale verso mezzogiorno arrivò la schiarita e poi il sole. Alle 13.10 Greta fece la sua comparsa nel mondo. Una gioia immensa. Il set era già da film: avevamo deciso di farla nascere in casa, ma fino alla sera prima nessun segnale… mancavano ancora 20 giorni al tempo decretato dalla medicina.  Da niente a tutto. Dei piccoli dolorini la sera precedente erano apparsi trascurabili. Nessuno avrebbe previsto che la mattina successiva alle 8.30 si sarebbero rotte le acque con la corsa relativa delle due ostetriche che venivano da Pisa.

Greta sceglie con volizione di nascere in anticipo, nel mezzo del Toro e in mezzo alla campagna sul divano di cucina circondata da gatti, piante e profumi del post temporale: più terra di così! Il suo precoce talento e predilezione per gli animali e per il loro accadimento non possiamo dirlo “un caso”.

Per questioni logistiche Greta Elodie ci seguirà fin da subito nel nostro peregrinare per viaggi e spostamenti con spettacoli, corsi, progetti, ecc. A tre mesi farà la sua “prima” in teatro in collo alla mamma e fino ai 4-5 anni proseguirà le sue periodiche comparse sulla scena. Poi dirà: stop. E comincerà a rivendicare la sua natura di terra-toro. “Voi girate troppo, io voglio stare a casa”. Con due genitori come noi fosse nata Gemelli (come doveva) avrebbe rischiato di essere presa nel turbine. Lei invece “stava”.

Mi sono accorto solo molto più tardi di quanta terra mi abbia regalato mia figlia. Per un Acquario ascendente Leone, la terra non è data per scontata. Oltre al classico amore padre/figlia, tra di noi c’è una naturale intesa, come ci conoscessimo da tante vite in un rapporto di reciproco donare. Credo mi abbia scelto per poter ricevere degli strumenti a lei necessari in questa incarnazione. La sua presenza ha dato a me la possibilità di far “atterrare” i miei doni, di dare più pace al mio respiro, più voce al mio gesto con grande acquisizione di qualità di vita nel quotidiano. Tutta l’esperienza “famiglia” ci ha fatto attraversare anche zone difficili, mettendo in risalto la difficoltà organizzative del quotidiano e la diversità di fondo di temperie tra me e Valentina. Questa forbice si è pian piano ampliata portandoci alla separazione nel 2017, sul momento molto dolorosa ma che poi ha permesso di dare a ognuno di noi ancor più spazio e libertà. La vera conquista è stata mantenere un rapporto buonissimo tra di noi e continuare a collaborare su un piano umano, artistico e familiare. Un capolavoro.

MONDI SOTTILI

Questo mio cammino artistico – a cui va la mia gratitudine per avermi fatto riprendere contatto e familiarità con le esigenze della mia anima profonda – sentivo però che non era sufficiente a contenere la portata della curiosità che mi abitava, del bisogno urgente e continuato di nutrimento ulteriore, di strumenti che mi dessero la possibilità di vedere oltre il visibile, di scoprire i sentieri nascosti del cammino. E così, in parallelo al mio percorso professionale, dalla metà degli anni Novanta, ho cominciato a fare l’esploratore dei piani sottili.

Ancora una volta sono stati gli incontri a fare la differenza.

Dopo che il Maestro Francisco decise di cambiare dimensione proprio allo scadere del secondo millennio, in un più che simbolico 1999, una magica sincronia mi ha portato a incontrare e collaborare con Alejandro Jodorowsky, altro grande Maestro multidimensionale.

In quegli anni lui, seppur già acclamato cineasta e artista globale, era ancora possiam dire, un autore di nicchia. Nel percorso-progetto nel quale potei seguirlo eravamo una quindicina di persone e ci riunivamo in piccoli centri olistici o nelle case accoglienti di alcuni membri di quel gruppo, tra Bologna e Firenze. Un apprendistato creativo ed emozionante di livello altissimo, un’occasione per esplorare attraverso i suoi dettami di psicomagia e psicogenealogia gli aspetti nascosti e divergenti dell’animo umano. Che meraviglia, mi sentivo a casa. I primi due giorni di quel primo nostro incontro intensivo, ricordo che ridevo o piangevo. Era talmente “strong” che all’inizio non c’era spazio per le mezze misure. “Questo voglio studiare, così voglio vivere” mi dissi.

Curioso che in tutta la mia carriera scolastica, dalla prima elementare alla laurea in Lettere (ben 18 anni), non abbia mai incontrato un maestro: brave persone e buoni insegnanti si, ma eccellenze no. Ed invece il “mondo fuori” con gran generosità mi ha concesso lo scambio con tante figure extra-ordinarie. Si vede che già dagli anni di fine millennio la vena viva della cultura non passava dalle istituzioni.

Con il vento in poppa dello zefiro jodorowskyano, mi sono tuffato tutto intero nell’oceano dell’invisibile. Nel giro di pochi anni ho cominciato la formazione di radioestesia e pulizia dell’aura con Antonino Majorana ed Emanuele Mocarelli (due grandi figure di riferimento), i percorsi di Angeologia con Igor Sibaldi (straordinario studioso trasversale che poi sarebbe diventato un caro amico), lo studio esperienziale della tradizione Tolteca con il Maestro Omar Miranda Novales, prima, e Marco Baston, dopo, lo studio e la pratica delle Danze sacre di Gurdjieff con l’amica Shurta, la frequenza con la disciplina del Rebirthing attraverso l’attivazione di Alexander Berlonghi, la formazione in metamedicina con il grande Nader Butto, i percorsi su canalizzazione e dialogo con i piani sottili, prima con Stefania Croce e poi con Sabrina Beretta, altre figure di grande respiro. Solo per citare alcune di quelle esperienze che hanno avuto più continuità nel tempo.

Questo nettare nutritivo mi ha permesso di cominciare a curare “le ferite dell’Anima” appunto (per citare Sabrina Beretta) e di sentirmi un ricercatore, un esploratore olistico che prova anzitutto a mettersi sul cammino della consapevolezza partendo dall’assunto che se vuoi migliorare il mondo hai da cominciare da te stesso.

Ecco, mi sono “preso di mira”: non per bersagliarmi di strali nocivi e sensi di colpa, ma per provare a trasformare rigidità, ostacoli e difficoltà in opportunità di apprendimento.

Vorrei anche citare un altro incontro spartiacque che mi ha fatto “ricontattare” la cultura Maya. Il tramite è stata Stefania Marinelli, esperta astrologa e una delle massime conoscitrici della tradizione dei “Maya Galattici” nel nostro paese. Attraverso di lei ho potuto conoscere altre due anime fondanti: Antonio Giacchetti e Giovanna Battistini. Attraverso di loro sono poi giunto al nume tutelare:  José Arguelles, colui che ha ricodificato nella nostra epoca una serie di misteri sepolti da secoli.  Anche in questo caso, attraversando l’architettura e la tessitura di questo sistema meravigliosamente sorprendente, mi sono sentito a casa, pur non conoscendone ancora quasi nulla. La dissoluzione del calendario gregoriano, artificiale e inadeguato, e l’attivazione del sincronario delle 13 lune, sarà, credo, uno dei passaggi che sancirà in modo pratico l’avvio della nuova epoca.

Molte sono le esperienze ed esplorazioni che ho condotto e da cui continuo a sentirmi attratto. Mi capita spesso, cammin facendo, di sentirne riaffiorare negli occhi o nelle mani una e di avvertirne risonanza con altre. Ciò che, però, è davvero straordinario è che, a un certo punto, i sentieri principali che stavo percorrendo parallelamente hanno cominciato a intrecciarsi. Senza che lo abbia cercato, le due strade – quella dell’attività professionale e quella dell’evoluzione personale – si sono riunite in un unico grande corso e ormai imprescindibili l’una dall’altra.

CINEMA

C’è anche un altro filone della produzione artistica che nel mezzo dell’esplorazione dell’invisibile è arrivato a bussare alle mie porte: il cinema. Ho sempre avuto una forte passione per quest’arte come spettatore. Fin da molto giovane ho amato i film di Pasolini e Fellini, il nuovo cinema tedesco degli anni Settanta e poi Buñuel, la Novelle vague e alcuni grandi americani. Da loro ho ricevuto tante suggestioni che poi ho portato in teatro, ma solo ad un certo punto, sul finire degli anni Novanta, mi si è aperta la visione dalla cinepresa. Mi sarei accorto di lì a poco che avevo un grande vantaggio: la familiarità innata con le fotografie. Mio padre, operaio con la terza media alle serali, era però uomo di grande cultura, aveva una importante biblioteca ed era un bravissimo fotografo. Ricavava la sua camera oscura nel bagno di casa, facendo ai miei occhi delle magie. Io sono nato in mezzo alle foto, alle vasche degli sviluppi e alle stoffe (mia madre faceva la sarta) sviluppando una competenza innata rispetto a visioni, inquadrature e costumi. Quando ho deciso di avventurarmi a realizzare i primi video – e poi i documentari e dopo i film – non ho avuto bisogno di seguire nessuna scuola o formazione: sapevo già, senza saperle, le nozioni necessarie a inquadrare, girare, dirigere.

Ho iniziato con i cortometraggi, prima per diletto tra amici, poi con i detenuti del Carcere di Gorgona Isola, e così sono arrivati i primi premi e riconoscimenti.

Una genesi diciamo singolare l’ha avuta il cortometraggio Guardàti, la prima produzione video creata sull’Isola. Avevo, dopo un percorso annuale, scritto, soggetto e sceneggiatura per un cortometraggio, quando a cinque giorni dalla data di inizio delle riprese il Ministero di Grazia e Giustizia blocca tutti i permessi (precedentemente concessi) per professionisti e macchinari necessari a girare l’opera. I motivi non verranno mai chiariti. Fatto sta che si blocca tutto.

Uno scoraggiamento globale si abbatte su di me. Dopo un paio di notti passate a meditare sul da farsi, decido di non rimandare, di non “mollare” e di rilanciare.

Giro ugualmente: da solo, con la piccola telecamera (non professionale) che ho con me sull’isola. Rivedo tutto il progetto, lo adatto alle nuove estreme esigenze.

Metto la mia telecamera “di fortuna” in alto, negli spazi di ripresa come fosse una di quelle di vigilanza. Telecamera fissa ad un’unica focale. Un occhio astratto che osserva. Cambio poi angoli per avere più punti di osservazione. Ho poi fatto delle invenzioni al montaggio con un bravo montatore. Ne è venuta fuori a sorpresa un’opera che è stata molto apprezzata, selezionata al Festival del Cinema di Bellaria dove ha anche ricevuto un premio dalla giuria. Ma il vero premio credo sia stato arrivare fino in fondo.

Ho percepito da subito che, dietro la macchina da presa e dietro le quinte del set, mi sentivo di nuovo a casa. Un luogo dove avevo voglia di stare e sperimentare.

Sono molto affezionato al ciclo di documentari fatti con la Regione Toscana e con la Rete Museale della Lunigiana su storia e memoria di quel territorio, documentari artistici creati appositamente per promuovere cultura e memoria storica divertendo, con un tipo di taglio stilistico capace di attrarre anche l’immaginario di bambini e ragazzi. Francesca Guastalli – responsabile della Rete Museale della Lunigiana – con cui da tanti anni collaboro, “anima antica” per sensibilità e amore per il territorio, dopo l’ennesima opera prodotta mi ha detto: “Secondo me un giorno arriverà l’occasione di farti cittadino onorario della Lunigiana e magari ambasciatore”. Mi ci vedo nei panni dell’ambasciatore, soprattutto per il costume!

Attraverso l’impegno e la creazione artistica abbiamo avuto modo di mettere il focus su tanti personaggi storici della zona e su eventi di formidabile interesse non solo locale. Mi sovviene a tal proposito il documentario Alla ricerca di Apua dove si prende in considerazione la popolazione dei Liguri Apuani, un popolo affascinantissimo di cui non si sa praticamente nulla, perché le informazioni che si hanno vengono dalle “non tracce”. Un popolo che non ha lasciato nessuna impronta sul territorio e nessuna opera come si fa a studiare? Ho ripreso a tal proposito per la realizzazione del documentario gli studi del mio professore relatore di tesi universitaria: Piero Pierotti, esperto di urbanistica, storia e territori che ha scritto il bellissimo testo Introduzione all’ecostoria, un filone di ricerca che si basa e trae ipotesi sulle “non tracce” appunto.

“Come si fa a studiare cosa non c’è?” Da questo incipit prende il via e si dipana il racconto del documentario, arrivando a ipotizzare anche che Apua – da cui gli Apuani/e – non fosse una città classica, situata in qualche luogo preciso del territorio da scoprire, ma fosse invece un sistema di villaggi che venivano montati e smontati ogni tre-quattro anni e spostati di luogo per sfruttare nuovi terreni, visto che non si usava la rotazione della coltivazione. Un sorta di villaggio globale, senza impatti sul territorio, senza modifiche ambientali, ma adattando la vita all’ambiente: un rovesciamento del moderno paradigma che avrebbe molto da suggerirci oggi.

Ho poi avuto un’importante esperienza come attore protagonista nel film Non c’è più niente da fare di Emanuele Barresi, affiancato da attori di grande livello professionale tra cui Alba Rohrwacher e Rocco Papaleo, una sorta di commedia ironica e impegnata al tempo stesso che ha avuto una buona visibilità nazionale.

Questo ruolo “importante” nei panni di attore cinematografico mi ha, però, fatto ben intendere che quest’arte mi chiama soprattutto dall’altra parte della macchina da presa: con l’occhio e lo sguardo attivo del regista. Negli anni successivi infatti mi sono dedicato alla direzione di opere cinematografiche che potrebbero definirsi docu-film, il cui intento è usare il linguaggio e il passo filmico per raccontare vicende di nuova umanità in un’epoca di transizione.

Le ultime realizzazioni in senso cronologico sono state: Quarantena, girato proprio durante il periodo della cosiddetta “pandemia”, e Ho bisogno di me che è il racconto biografico di una persona vivente (Paola Valeria Jovinelli) che attraverso questo film-racconto, come in una sorta di atto psicomagico jodorowskyano, ha fatto un percorso di autoguarigione e di trasformazione esistenziale parlando di Se stessa. Ora è in corso la scrittura del prossimo film che si girerà tra settembre e ottobre 2023, con uscita entro la primavera 2024.

LETTURA DEL NOME

Questa mia spinta incessante ad attraversare territori di confine, questa disposizione a viaggiare nelle dimensioni del “realismo magico”, mi ha portato nel tempo altri eventi sincronici forieri di novità creative.

Erano i primi anni del Duemila, abitavo a Bologna dove lavoravo con la mia Compagnia teatrale. In quel periodo stavo seguendo la formazione in “radioestesia e pulizia dell’aura” insieme, tra gli altri, a una mia amica fraterna: Serena Tracchi.

Un giorno mi chiama al telefono dicendomi che ha da parlarmi e che ci dobbiamo prendere almeno un pomeriggio di tempo. Lei abitava sui Colli, così prendo un treno e la raggiungo. La rivelazione era importante e si sarebbe svelata esserlo ancor di più molti anni dopo.

Vicino al camino acceso mi racconta che durante quella stessa settimana aveva fatto tre sogni in tre giorni differenti che erano, con sorpresa, uno la precisa prosecuzione del precedente. Durante questi sogni lucidi le erano stati dettati i significati simbolici di tutte le lettere dell’alfabeto (ognuna aveva un significato simbolico unico e preciso) e poi le era stato insegnato un semplice conteggio matematico con cui si andavano a individuare le quattro lettere cardinali del nostro nome cognome. Ognuna di queste lettere/punti aveva a sua volta un significato simbolico. Lei ad ogni sogno aveva avuto la forza di alzarsi e prendere appunti in modo sistematico.

Io avevo i suoi appunti “notturni” davanti agli occhi.

Aveva chiamato me come sodale e compagno di viaggio. Vista la nostra amicizia e la condivisione di percorsi fuori dall’ordinario, ero la persona giusta con cui poter parlare di una rivelazione così potente. La ringraziai dal cuore e su sua richiesta mi copiai dall’originale tutti gli appunti.

Sapevamo di aver ricevuto un gran regalo, ma non avevamo la più pallida idea del significato profondo e del perché proprio a noi. Ci ringraziammo entrambi per il valore della reciproca presenza, grati all’universo del dono ricevuto, col buon proposito di farne buon uso. Quel buon proposito per lungo tempo rimase tale perché non trovammo una strada di applicazione pratica e decidemmo infine di lasciar il materiale lì a sedimentare. Quegli appunti sono rimasti a decantare in un cassetto per circa quindici anni, come un elisir.

Per lunghi periodi ci siamo dimenticati anche della loro esistenza, mi ero comunque imparato a memoria sia tutti i significati simbolici che le regole del conteggio delle lettere cardinali, qualcosa si vede chiamava.

Nella tarda primavera del 2017 ero in provincia di Lucca, a Capezzano, durante il Festival estivo della bellissima rivista Terranuova, chiamato dagli organizzatori per allestire il mio banchetto dei Ritratti Scritti. Passo due giorni e mezzo a scrivere e dedicare poesie volanti alle facce delle persone con ritmo da “catena di montaggio”. Al terzo giorno, mentre verso sera stavo smontando il tutto, arriva trafelato un conoscente che mi chiede il ritratto. Mi scuso e gli faccio notare che ho già riposto i materiali e che ho esaurito tutte le risorse di tempo e attenzione. Lui insiste con richiesta di favore e mi prega accorato di farglielo. Mi spiace scontentarlo, ma sento che la mia mano ritrattistica ha detto stop, così cercando quale invenzione possa fare da mediazione, gli faccio uno proposta inaspettata anche a me stesso: “Guarda, il ritratto non riesco proprio a fartelo, ma se vuoi ti faccio la Lettura del Nome”. Lui senza nessun dubbio e senza sapere neppure di cosa si trattasse (e nemmeno io) mi dice senza esitazione: “Sì, benissimo, ci sto!”

Da dove era arrivata quella proposta folle in orario di smontaggio non lo so. In sottovoce ho detto a me stesso: “Tu sei fuori! Avevi finito l’energia creativa e invece di chiudere con garbo ti vai a mettere in un ginepraio?” Ma ormai la famosa frittata era fatta. Così, forte della memoria di oltre 15 anni di appunti in un cassetto, inizio questa avventura affidandomi a una protezione sacra. Non ricordo nemmeno cosa venne fuori in quel primo viaggio, so che lui alla fine era contento. Io non posso dire di essermi sentito soddisfatto, ma stupito sì e anche sorpreso. Perché?

Mi accorsi di un fatto anomalo: mentre parlavo e tentavo di interpretare le Lettere e le loro relazioni, mi si aprivano come delle finestre inaspettate, mi si presentavano a sorpresa delle strade di interpretazione, mi si chiarivano dei passaggi senza che sapessi bene come. Mi capitava anche di sapere cose che non ricordavo di sapere. Cosa significava questa sensazione che non era solo una sensazione?

Invece di congetturare troppo, sentii che l’unica strada autentica era quella di provare ancora. Avevo bisogno di amici fidati che mi facessero da “cavie”.

Non fu difficile trovarli. E così iniziai le sperimentazioni. Più che andavo avanti e più che questi fenomeni si amplificavano, più informazioni arrivavano, più chiarezza si delineava. Un mondo incredibile si andava aprendo e ampliando.

Sono andato avanti per un anno facendo esperimenti sempre più frequenti e sempre più approfonditi fino a che potevo dire di aver messo a punto un sistema interpretativo o almeno le solide basi da cui partire. Sentivo che era arrivato il momento di un salto quantico, ci voleva determinazione, coraggio, audacia e leggerezza insieme. Decisi di andare a consulto da tre Anime molto potenti di cui mi fidavo e mi fido tutt’oggi, che hanno diciamo “un canale privilegiato” con i piani sottili.  A tutti e tre raccontai la storia e la genesi di tutto il sistema e feci la stessa domanda: “Cosa ne debbo fare?” E da tutti e tre (senza che sapessero l’uno dell’altro) risposero la stessa cosa: “Sei chiamato a portare questo sistema interpretativo nel mondo, ti è stato dato perché attraverso di questo in modo semplice e diretto, con l’energia del maschile, puoi aiutare tante persone. Ti devi però dare valore, questo deve avere un costo, ha bisogno di diventare una tua attività e le persone stesse hanno bisogno a loro volta di dare valore ed energia a quello che fanno e scelgono”.

Così ho preparato una presentazione, ho articolato un modo pratico per poterle fare. Nelle sperimentazioni mi ero accorto che la Lettura aveva bisogno di un’ora di tempo per potersi svolgere. In pochi mesi senza che abbia fatto una concreta pubblicità, la notizia ha cominciato a diffondersi col passaparola finché sono arrivate moltissime richieste. La gran parte delle Letture avveniva on line con videochiamate, a volte invece mi organizzavano delle giornate intere in spazi culturali: le persone si alternavano di ora in ora da mattina a sera. Con grande sorpresa, a fine giornata non ero stanco, nonostante il grandissimo sforzo di concentrazione, come se questo dono arrivasse anche a ricaricarmi energie invece che spenderle.

Più ne facevo e più scoperte nuove arrivavano e più efficacia si rivelava. Via via il tempo di un’ora si è rivelato inadeguato ed è arrivato in seguito ad un’ora e mezzo e poi due… fino ad arrivare progressivamente a tre. Il campo di scoperte e condivisioni si ampliava senza sosta e indipendente dalla mia volontà. Oggi siamo a due incontri di un’ora e mezzo per poter ultimare la Lettura base.

Quasi impossibile riuscire a spiegare in modo descrittivo di cosa si tratta, risulta più chiaro farlo che dirlo, come una danza che si può solo danzare e non analizzare. Dovessi sintetizzare, direi che si tratta di un’attivazione energetica tramite la vibrazione del proprio nome-cognome, che in quanto frequenza e suono è come un mantra che risuona nella nostra dimensione del quotidiano. Un attraversamento che permette di vedere ed entrare in contatto con i propri talenti, con i codici che ci indicano strade privilegiate da percorrere e direzioni da evitare.

Così come una carta del cielo con le sue geometrie e i suoi transiti ci dà un’immagine del nostro piano natale e con lui della nostra tessitura animica, così attraverso il nome si ha un piano simbolico della medesima tessitura: cambiano gli addendi ma non muta il risultato. È una delle variegate forme possibili di Lettura del nostro piano incarnato con le sue stratificazioni sottili.

In questo caso la Lettura del Nome ci introduce anche una parte dichiaratamente pratica che si può sintetizzare come “consigli pratici per il quotidiano”. Quindi niente di accademico, filosofico, sapienziale, ma un attraversamento interpretativo concreto, connesso al nostro tema nominale. Non è infatti un caso che cambiando nome si cambi frequenza e quindi cammino. Da ricordare, per esempio, che molti artisti hanno fatto successo non a caso con uno pseudonimo, e che molti Maestri, soprattutto di tradizioni extra europee, solevano spesso cambiare nome ai loro adepti per staccarli dalle “matrici” delle memorie genealogiche molto pesanti.

Ripeto, le parole non possono rendere onore al sistema, l’unica strada è provarlo.

Per quanto continui a usare spesso la formula semplificata di Lettura del Nome, mi è arrivata una sigla che definisce in modo più completo questa pratica, si tratta dell’acronimo TALKeys: Transformation Activation Liberation Keys.

Questa l’introduzione della presentazione ufficiale:

“Chiavi per trasformare i nodi,
attivare le energie,
liberare i talenti.
Una conversazione
a partire dal proprio nome
per tradurre la grammatica dell’anima
e ricevere mappe
e suggerimenti pratici
con cui riscrivere il quotidiano”

 PROGETTO 20+1

Concludo la rassegna e l’excursus con un progetto che mi sta molto a cuore e che spero prossimamente possa vedere la luce del suo inizio. L’ho chiamato ad oggi “20+1”. Un’architettura creativa che mette insieme tanti aspetti dei miei interessi artistici e olistici: cinema, geografia, bellezza, arte, guarigione, nuova medicina, territorio, natura, ecologia, eccellenze, mappe, sentieri sconosciuti, luoghi energetici.

Vorrei creare delle nuove mappe geografiche terrastrali del nostro meraviglioso paese, dei nuovi sentieri da percorrere che fanno bene a corpo e anima. Per ognuno di questi si prevede uno studio specifico del territorio, una mappatura di luoghi, percorsi, persone, anime, eccellenze, incontri possibili, occasioni di amplificazioni del Sé e connessioni.

Per ogni tappa si prevede una sorta di puntata di documentario che racconti per immagini e in modo sintetico, divertito, profondo e leggero insieme, le caratteristiche e le meraviglie di quel luogo-percorso-territorio. Un’opera multidimensionale che ha bisogno di molte persone che collaborano alla realizzazione e di mecenati e benefattori capaci di sentirne il valore autentico: anime che scelgono di investire in progetti di salute pubblica. Una riscrittura valoriale e cooperante del nostro territorio.

Per il proseguo di questo e altri progetti vi dò appuntamento lungo una delle traiettorie delineate. Al passo che più si intona al vostro ritmo. Intanto vi ringrazio per l’attenzione, per la pazienza e per l’ascolto. E come dice il grande Leonardo… “raro cade chi ben cammina”.