Un viaggio nel metodo neuromotorio Feldenkrais

«Se sai quello che fai, fai quello che vuoi».

«Ascoltare il corpo in movimento, giocare con lui,
è il modo più efficace per plasmare la nostra mente».

 

La prima frase, ben lungi dall’essere uno slogan commerciale, è una affermazione utilizzata da Moshé Feldenkrais (1904 – 1984), per spiegare la natura della pratica psico-corporea che porta il suo nome. Il secondo pensiero virgolettato è dello scrivente, praticante Feldenkrais da circa 15 anni.  Un pensiero, quello da me espresso, che Moshé ha declinato in modi molteplici e più efficaci del mio.

L’insegnamento che sintetizza ogni scoperta fatta dal professor Feldenkrais, possiamo racchiuderlo come segue:

“Ogni aspetto della nostra vita, inclusi l’autostima, la capacità relazionale e la creatività, è strettamente connesso alla nostra postura e al modo in cui ci rapportiamo col nostro corpo in movimento.”

Il mio incontro con il Feldenkrais

Il 2008 volge al termine e io ho 32 anni. Sto cercando il modo migliore di tenere uniti tutti i fili della mia vita. Ho una laurea in Giurisprudenza da far fruttare, il dono della scrittura da coltivare, una condizione da accettare pienamente. Quest’ultima è la cecità, che mi colpisce fra i 12 e i 13 anni di età. Ho iniziato, quattro anni prima, un incerto cammino fra le tante pratiche olistiche che ci sono in giro. A quel tempo non ho una idea molto chiara di cosa sto cercando davvero. Tantomeno, so esattamente cosa sia la crescita personale. Ho una unica traccia. Mi piace fare sport, perché il movimento corporeo mi aiuta a calmare la mente. Così, partendo da quest’unico dato certo e chiedendo agli istruttori sportivi che conosco, inizio a capire di aver bisogno di discipline che, passando dal corpo, curano la mente. Così, col mese di ottobre agli sgoccioli, seguendo l’indicazione di una conoscente, senza particolari speranze di avere una folgorazione sulla via di Damasco per così dire, un pomeriggio mi presento in uno studio dove si insegna l’educazione neuromotoria Feldenkrais. Quel giorno, per la prima volta, faccio conoscenza con un estraneo che credevo di conoscere bene. Me stesso. E lo scopro in modo naturale, semplicemente mettendo attenzione, come mai prima di allora, al mio modo di camminare, di mettere un piede davanti all’altro, al modo in cui mi siedo su una sedia e poi mi rialzo.

A questo punto viene spontaneo chiedersi: «Ma che cos’è esattamente il Feldenkrais?»

Movimento, attenzione e consapevolezza di sé

Le basi del metodo per la consapevolezza dei processi psicomotori” di Moshé Feldenkrais.

Il prof. apre il libro dandoci conto del fatto che le parole sono largamente insufficienti per approcciare una pratica che tratta le emozioni. Ecco perché lui suggerisce di praticare, invece che ragionare, il suo metodo. È con questa consapevolezza, che mi accingo a illustrare, in breve, cos’è il metodo di cui parliamo.

Ci sono due approcci con cui possiamo sperimentarlo:

  1. le CAM, acronimo che significa Conoscersi Attraverso il Movimento. Sono sequenze motorie che l’insegnante ci propone, guidandoci con la sua voce. Impariamo a osservare semplici azioni come alzarci e sederci, camminare o salire su un gradino. Pura osservazione, senza alcun giudizio su come eseguiamo una data azione. Così facendo, molto spesso scopriamo che un certo movimento possiamo farlo in modo più semplice. Nel Feldenkrais si impara presto ad abolire i concetti di giusto e sbagliato. Li sostituisci con parole come facile, comodo e funzionale.
  2. Abbiamo poi le IF, cioè Integrazioni Funzionali. Siamo sdraiati su un lettino e ci affidiamo alle mani gentili e rispettose dell’operatore. Affidandoci, scopriamo il movimento di parti del corpo che neppure sospettavamo di avere. Una volta in piedi, possiamo constatare, fin dalla prima seduta, che ci sentiamo allungati, più leggeri e con la capacità di muovere il collo, le gambe e le braccia, con una facilità che fino a
    un’ora prima non ci sognavamo nemmeno.

In entrambe le modalità indossiamo un abbigliamento comodo, sportivo. Tuttavia, bastano una o due lezioni per capire che non stiamo facendo ginnastica e neppure fisioterapia. Quella che sperimentiamo è una educazione o rieducazione neuromotoria. Chi ha dimestichezza con Yoga e arti marziali, riconoscerà immediatamente alcuni movimenti che rimandano a tali discipline. Ma ciò che più ci arriverà sarà altro. La sensazione di essere tornati bambini, ma con la consapevolezza dell’adulto. Riscopriremo movimenti sepolti chissà dove, come il gattonare. Una volta in piedi, stupiti, constateremo quanto l’assenza di quei giochi infantili ha impoverito i nostri movimenti. Un po’ sgomenti, capiremo di aver perduto la gran parte del ventaglio di azioni motorie che padroneggiavamo da piccoli.

In una decina di lezioni, anche meno, impariamo che le sequenze motorie che stiamo riacquisendo, piccole e gentili, stanno arrivando al nostro cervello. Personalmente, dopo appena cinque sedute, ho cominciato a mettere attenzione a come il mio corpo era posizionato nello spazio. Il nuoto mi aveva già dato questa capacità pur in assenza della vista; tuttavia, il Feldenkrais mi ha messo in condizione di constatare in tempo reale una postura dolorosa, una tensione incontrollata, per esempio alle braccia. Riconosciutala, posso ottenere un riequilibrio, anche con piccoli aggiustamenti posturali e alcuni respiri consapevoli, con cui lasciare andare le tensioni parassite. Questo è stato il primo regalo fattomi dalla pratica.

In trenta lezioni circa, apprendi un buon bagaglio di esercizi (secondo alcuni è preferibile tradurre il termine inglese exercise con l’espressione sequenza di movimento), con cui puoi entrare in contatto con ogni parte del tuo corpo. Nel Feldenkrais non ci sono schemi precostituiti, movimenti che devi fare prima e dopo. Impari ad ascoltarti, invece. Annoti, dopo una sorta di auto-scansione, quale parte del tuo corpo è tesa, il viso e la mandibola per esempio e intervieni. Chiamiamola impropriamente ginnastica degli occhi e del viso. Serve a eseguire micromovimenti prima congiunti poi disgiunti, ottenendo un beneficio tangibile in pochi minuti, nonché una armonia espressiva rilevabile anche davanti allo specchio.

Nel breve tempo dall’inizio della pratica, il tuo cervello si risveglia. Dapprima è confuso. Poi divertito e infine si riprogramma. Il primo impatto con questo metodo può creare qualche scompenso, ma nulla di preoccupante. Semplicemente, inizi a capire che dietro le tue rigidità corporee ci sono lati caratteriali, convinzioni sbagliate, che ti fanno soffrire. Senza che tu nemmeno lo sappia. Il tuo cervello lo sa. Lo capisce perché il corpo, in movimento, gli sta parlando. Entrambi iniziano a riconoscere quel determinato momento di relax e lo richiedono con insistenza. Captano una data tensione muscolare, quella postura nociva e, automaticamente, ti esortano a modificarla. E tu capisci, stupefatto, che testa e corpo si sono riconnessi, forse per la prima volta nella tua vita.

Nel Feldenkrais non ci sono schemi precostituiti, movimenti che devi fare prima e dopo. Impari ad ascoltarti, invece. Annoti, dopo una sorta di auto-scansione, quale parte del tuo corpo è tesa, il viso e la mandibola per esempio e intervieni.

Feldenkrais e riconnessione

Pratico il metodo da circa sei mesi. Ho iniziato, senza un motivo apparente, a togliermi gli occhiali scuri che indosso costantemente. Lo faccio nell’ufficio amministrativo in cui lavoro a quel tempo e talora anche per la strada. Nel frattempo, mi accorgo che il mio modo di scrivere articoli per le riviste e il quotidiano con cui collaboro sta mutando profondamente. È come se dalle dita e prima ancora dalla mente scaturissero parole più evocative che in passato. I colori che riesco a dare ai miei pezzi, come si dice in linguaggio giornalistico, mi fanno sentire un
intagliatore di cristalli.

All’epoca non ho ancora letto nulla di quanto scritto dal prof. Moshé e non lo farò per lungo tempo. Ho solo le nozioni teoriche che mi dona la mia insegnante. L’esperienza è ancora quasi totalmente pratica. Intuisco che il mio cervello si sta plasmando. Togliermi gli occhiali quando ne sento la necessità è un gesto con cui dò sollievo al mio viso che, a tratti, mal sopporta quel peso estraneo. Vi è dell’altro, però. È un atto con cui accetto pienamente la mia condizione. La scrittura si giova di tutto ciò. Perché le mie lezioni Feldenkrais sono una camera bianca dove posso meditare. Pratica che per me, ancora oggi, è difficile in una situazione di immobilità. Con le CAM e le IF del metodo, al contrario, spesso mi sorprendo a non pensare a niente. E svuotarlo dai pensieri inutili, consente al mio cervello di concentrarsi su ciò che è realmente importante per il mio benessere.

Le sequenze di movimento elaborate da Moshé, sorprendenti per la loro semplicità, sconcertanti quando, attraverso i libri, si scopre la complessità delle ricerche che vi sono dietro, coinvolgono in modo mirato muscoli e nervi.

Quella che sperimento è un’autentica riconnessione con il mio sé profondo. A ciò si accompagnano altri effetti secondari. A guardarli con la consapevolezza di oggi, tanto secondari poi non mi sembrano. Acquisisco alcune competenze manuali da ambidestro, per esempio. Riesco a compiere azioni come lavare i piatti utilizzando, indifferentemente, la mano destra e la sinistra. Migliora la mia efficacia in alcune pratiche sportive, come per esempio le arti marziali. Passeranno anni prima che mi approcci ad autori di diverse aree, scoprendo che vi è una stretta connessione fra le nostre capacità motorie e l’implementazione delle facoltà psichiche. È così che capisco, nella pratica, il concetto di neuromotorio riferito al metodo Feldenkrais. E ne afferro il senso in tutta la sua interezza.

Le sequenze di movimento elaborate da Moshé, sorprendenti per la loro semplicità, sconcertanti quando, attraverso i libri, si scopre la complessità delle ricerche che vi sono dietro, coinvolgono in modo mirato muscoli e nervi.

Moshé Feldenkrais

Avremmo bisogno di un articolo a parte, per narrare la vita da romanzo di quest’uomo eccezionale. Per questioni di spazio ci limiteremo a ricordare che era un ingegnere elettronico, un fisico e un campione di arti marziali, nonché una delle prime cinture nere europee di Judo. Si laurea in Francia, dopo aver ripreso gli studi in età adulta. Parte della adolescenza la trascorre in Palestina, tirando su ponti e case. Nasce in Ucraina e si trasferisce in Terra Santa a 14 anni. Personalmente, non posso fare a meno di ritrovare nella parabola della vita di Moshé un concetto che esprime in “Il corpo e il comportamento maturo”, che è il testo fondamentale del nostro Prof, in cui tratta i principi del suo metodo.

Ci si deve occupare del proprio corpo e della sua piena maturazione, se si vuole raggiungere un pieno sviluppo delle proprie facoltà intellettive.

Ci si deve occupare del proprio corpo e della sua piena maturazione, se si vuole raggiungere un pieno sviluppo delle proprie facoltà intellettive.

Moshé Feldenkrais ha applicato al suo metodo principi scientifici rigorosi. Nel libro “Nora, un’avventura nella giungla del cervello”, ha riportato la propria esperienza di supporto a una donna affetta da gravi compromissioni motorie. Il Prof, che non era un medico, riesce a far compiere dei notevoli miglioramenti alla donna che si affida alle sue cure. Questo è un passaggio importante da sottolineare. La pratica di cui ci stiamo occupando è una educazione o rieducazione neuromotoria, non una cura medica. Eppure, basta un rapido giro in internet per convincersene, diversi medici affiancano alla Medicina tradizionale un trattamento Feldenkrais. Fra gli altri i disturbi mandibolari, gli acufeni, l’emicrania cronica, una vasta gamma di disturbi posturali, lo stress e l’ansia, si possono alleviare con dei cicli Feldenkrais mirati. “La saggezza del corpo in movimento” e “L’io potente” sono altri due testi di rilievo, indispensabili per conoscere gli studi alla base di questa disciplina.

Gli Stati Uniti, dove il prof. Feldenkrais apre le sue prime scuole per l’insegnamento del metodo, oggi includono il Feldenkrais fra i trattamenti sanitari riconosciuti.

La cassetta degli attrezzi

Personalmente definisco così il Feldenkrais. È un pennello per disegnare e ridefinire, all’infinito, la nostra immagine interiore ed esteriore. È uno strumento con cui “impariamo a imparare”. In altre parole, praticando Feldenkrais miglioriamo in ogni area della vita, perché la facciamo in modo più funzionale. Non esiste il giusto e lo sbagliato nella pratica di cui parliamo. Esiste soltanto un fare più comodo, facile e funzionale, come abbiamo già detto. E il parametro siamo noi stessi.

Il metodo si attaglia a ciascuno come un vestito perfetto, cucito su misura. In me, per esempio, ha potenziato la passione e la creatività nello scrivere. Certo non ha potuto fare di me un centometrista o un novello Bruce Lee con le arti marziali. Ciò nonostante, mi ha permesso di migliorare le mie prestazioni in ambito sportivo.

Il Feldenkrais è uno strumento con cui “impariamo a imparare”. In altre parole, praticando Feldenkrais miglioriamo in ogni area della vita, perché la facciamo in modo più funzionale. Non esiste il giusto e lo sbagliato nella pratica di cui parliamo. Esiste soltanto un fare più comodo, facile e funzionale. E il parametro siamo noi stessi.

Moshé ci spiega ciò nel già citato “Le basi del metodo per la consapevolezza dei processi psicomotori”. Ci racconta di non esser mai stato granché capace di disegnare. Eppure, per pura curiosità, a un dato momento sceglie di prendere lezioni di pittura. Vi si applica, unendovi gli esercizi di consapevolezza che sta perfezionando. Ci svela, ironico, di non essere diventato un Brunelleschi o un Giotto. Ma il suo insegnante si complimenta, evidenziando che i suoi risultati sono ottimi, visto che all’inizio non aveva alcuna propensione per l’arte.

Un primo passo verso la spiritualità

Negli anni ho conosciuto molte persone praticanti Feldenkrais. Ognuna con le proprie qualità, convinzioni, credo religioso. Il nostro metodo appare qualcosa di avulso dalle pratiche orientali e occidentali che ci trasmettono insegnamenti, principi e valori buoni per ogni palato. Il Feldenkrais no. Ci insegna unicamente come rapportarci col corpo. Ci impegna a capire chi siamo, nel profondo. A guardarci in faccia, spietatamente e senza mediazioni. Come correre, camminare, mangiare, parlare con gli altri, fare l’amore e persino litigare. Un metodo asettico, potremmo sospettare. Niente di più sbagliato.

Il Feldenkrais ci insegna unicamente come rapportarci col corpo. Ci impegna a capire chi siamo, nel profondo. A guardarci in faccia, spietatamente e senza mediazioni. Come correre, camminare, mangiare, parlare con gli altri, fare l’amore e persino litigare.

www.feldenkrais.it

per avere una fonte da cui attingere materiali su Moshé. Articoli, bibliografia completa, elenco degli insegnanti iscritti all’albo degli operatori Feldenkrais. E anche come diventare insegnanti, per chi fosse interessato. In Italia il titolo è un diploma universitario, mentre in molti Paesi esteri il Feldenkrais è una laurea.

Leggendo i libri del Prof e gli articoli su di lui, si scopre la sua preparazione trasversale. Il modo in cui partecipa a pieno titolo ai dibattiti fra i sostenitori delle tesi di Sigmund Freud e le altre correnti scientifiche che tentano di innovare le cure in ambito psichico.

Vediamo Moshé prendere le parti, con autorevolezza, dell’ostracizzato Dott. Reich, morto in carcere negli USA, pur non entrando nel merito di ogni tesi del complicato scienziato. Feldenkrais afferma che il merito di Wilhelm Reich è aver affermato che l’idea del curare la mente senza passare per il corpo è pura fantasia.

Con il metodo che porta il suo nome, il Prof ha dato una valida alternativa alla rinuncia al mondo moderno. Possibilità questa interessante e certo ottima per taluni, poco praticabile per la gran parte di noi, immersi in un mondo che ci ha viziati, ma che possiamo plasmare, senza necessariamente rifuggirlo.

Scopriremo quanto Moshé fosse legato spiritualmente a suo nonno, un grande uomo di fede. Secondo alcuni, il nostro Prof credeva anche nella reincarnazione. Camminando nei sentieri della scienza occidentale, nonché nelle filosofie orientali, scopriremo quanto Feldenkrais conoscesse bene moltissime tradizioni, che ha studiato e rielaborato per noi. Le ha rese semplici, spiegandoci come, per esempio, il fatto di portare sempre delle scarpe, ha effetti incalcolabili sulla nostra postura, il nostro carattere e il nostro atteggiamento verso gli altri.

Con il metodo che porta il suo nome, il Prof ha dato una valida alternativa alla rinuncia al mondo moderno. Possibilità questa interessante e certo ottima per taluni, poco praticabile per la gran parte di noi, immersi in un mondo che ci ha viziati, ma che possiamo plasmare, senza necessariamente rifuggirlo.

Questo metodo, per me, è una camera bianca a cui ricorrere e tornare nei momenti difficili. Talvolta possiamo scordarci di lui, è umano. Ma una volta appreso, sarà difficile accantonarlo.

Ciclicamente, ci ricorderemo del grande insegnamento del Prof. Feldenkrais:

«Il nostro corpo è intelligente. Impariamo ad ascoltarlo.
E lui ci darà le risposte che ci occorrono».

E questo, mi pare, è il prerequisito indispensabile per approcciarsi a una qualsivoglia filosofia, religione o altro che noi si voglia apprendere.

La nostra mente è il foglio bianco. Il corpo è il nostro pennello, il Feldenkrais la tecnica per imparare a disegnare. Solo appreso come tracciare le linee della vita, possiamo dedicarci a scegliere i colori che più ci piacciono.